L’Hajj Terminal all’aeroporto di Jeddah. Foto tratta da Wikipedia

Image

L’Hajj Terminal all’aeroporto di Jeddah. Foto tratta da Wikipedia

A Gedda la prima Biennale delle Arti islamiche

L’Hajj Terminal della città sul Mar Rosso, in Arabia Saudita, ospita la mostra focalizzata sull’importanza della civiltà musulmana

Il 23 gennaio inaugura a Gedda la prima, attesissima, Biennale delle Arti Islamiche (fino al 23 aprile). Organizzata dalla Diriyah Biennal Foundation, ente costituito nel 2020 dal Ministero della Cultura per produrre le prime Biennali d’arte nel mondo Saudita, la mostra ha luogo a poco più di un anno dall’inaugurazione della Biennale d’Arte Contemporanea di Riyad, a testimonianza della straordinaria trasformazione culturale di cui l’Arabia Saudita è stata protagonista negli ultimi due anni.

Questa volta a ospitare la Biennale è Gedda, città portuale affacciata sul Mar Rosso, storicamente importante per la cultura musulmana in quanto crocevia fra le due città sacre, Mecca e Medina. In particolare lo spazio dedicato a ospitare la mostra, l’iconico Hajj Terminal, è stato scelto proprio per il suo forte valore simbolico: destinato dai primi anni Ottanta ad accogliere fiumi di viaggiatori in transito verso la città sacra durante le sei settimane dell’anno dedicate al pellegrinaggio (il periodo, appunto, di Hajj) si presenta come cruciale luogo di passagio e di scambio di oggetti, di popoli e di cultura.

Sull’importanza della civiltà islamica e del suo linguaggio simbolico si concentrano le scelte di un team curatoriale di prestigio, che include Sumayya Vally, Julian Rabi, Saad Al-Rashid e Omniya Abdel Barr. A partire dal nome scelto per la mostra, «Awwal Bait» o «La prima casa», con chiaro riferimento alla Kaaba, il più sacro fra i monumenti islamici, l’intento è quello di mostrare al pubblico che cosa significhi essere musulmani: «(... la Biennale) darà la possibilità a un vasto pubblico di sperimentare e conoscere la civiltà islamica e la sua continua influenza sul mondo delle arti figurative», ha affermato Al-Bakree, ceo della Diriya Biennial Foundation.

Intento che si è voluto raggiungere con la creazione di due sezioni complementari all’interno della mostra: «Quiblah» («direzione sacra»), che enfatizza la spiritualità dell’Islam, e «Hijrah» («migrazione»), che invece riflette sull’importanza della migrazione intesa come scambio fra culture.

Attraverso l’esplorazione dei riti immortali che hanno definito l’islamismo nei secoli, la mostra si sviluppa come un dialogo costante fra i lavori di arte contemporanea, commissionati a più di quaranta artisti provenienti da tutto il mondo mediorientale, e i reperti storici, molti presi in prestito da musei, il tutto nel contesto di una scenografia spettacolare disegnata dallo studio di architettura Oma.

Shahpour Pouyan, artista di origini iraniane con base a Londra, presenta un’installazione dal titolo «My place is the Placeless», all’interno della sezione Hijrah: «Alla Biennale espongo tre sculture: sono le cupole che rappresentano le tre grandi religioni, Buddhismo, Islam e Cristianesimo, praticate nei quindici paesi da cui ho scoperto di provenire», afferma Pouyan.

Con un titolo preso in prestito dall’opera del poeta medievale iraniano Rumi, «My Place is The Placeless», serie cominciata nel 2017 e costituita da sculture ispirate alle cupole dei grandi monumenti presenti nei paesi di provenienza dell’artista, investiga le nozioni di nazionalità, storia personale e appartenenza.

Anche il lavoro presentato dal saudita Ahmed Mater è la continuazione di una serie in costante evoluzione: «100 Found Objects» è un insieme di oggetti, immagini, video che l’artista ha collezionato nel corso degli anni per raccontare la cronostoria della Mecca, luogo fisico e simbolico, eterno e in continua evoluzione. «Quest’opera trascende l’oggetto. Essenzialmente quello con cui lavoro non sono i cimeli ma le storie ad essi legati. Per me ogni storia è la manifestazione dell’oggetto e ogni oggetto è la tangibile materializzazione del racconto che nasconde», ha dichiarato Ahmed Mater.

Fra gli artisti selezionati figurano anche gli egiziani Wael Shacky e Moataz Nasr, il saudita Ahmed Mater e Lubna Chowdhary, tra i nomi più noti al grande pubblico. Ma anche tanti giovani emergenti come l’artista perfomativa saudita Sarah Brahim, che annovera fra i suoi traguardi più recenti una partecipazione alla Biennale di Lione dello scorso anno e alla Biennale d’Arte Contemporanea di Riyad del 2021.

L’istituazione della Diriyah Biennial Foundation e la produzione di due bienniali in tempi cosi ravvicinati si inseriscono nel contesto di un progetto di ampio respiro che mette la cultura al primo posto nell’agenda del governo, con l’obiettivo di mostrare un’Arabia Saudita aperta al mondo e pronta a candidarsi come meta prescelta dalle elite culturali internazionali.

L’Hajj Terminal all’aeroporto di Jeddah. Foto tratta da Wikipedia

Redazione GDA, 20 gennaio 2023 | © Riproduzione riservata

Articoli precedenti

Al MoMA la retrospettiva della pioniera della performance che si vorrebbe rivedere più volte

Documenti dell’Archivio di Stato di Ancona li rappresentano nel contesto storico del regime fascista

Le due importanti città-stato etrusche sono gemellate idealmente da ieri

La nuova mostra dell’artista canadese negli spazi di Basement Roma trasforma lo spettatore in un «personaggio giocante» di un videogame

A Gedda la prima Biennale delle Arti islamiche | Redazione GDA

A Gedda la prima Biennale delle Arti islamiche | Redazione GDA