A Bolzano Lamelas plasma lo spazio e il tempo

Alla Fondazione Dalle Nogare la prima mostra istituzionale del concettuale argentino

Una veduta della mostra di David Lamelas alla Fondazione Antonio Dalle Nogare
Camilla Bertoni |  | Bolzano

«Un’arte spesso fatta quasi di nulla»: così Andrea Viliani presenta l’esposizione «I have to think about it» (Devo pensarci su), di cui è curatore insieme a Eva Brioschi. È la prima che un’istituzione italiana, la Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano, dedica all’artista argentino David Lamelas (fino al 24 febbraio ’24).

Dietro alla provocazione ironica di Viliani, a cui corrisponde la scelta altrettanto provocatoria e ironica del titolo della mostra da parte di Lamelas, ci sono «la leggerezza e la fragilità delle sue opere, perché le vere materie con cui lavora sono lo spazio e il tempo, continua Viliani. Uno dei pochi artisti del Global South, da cui si trasferisce nei grandi centri della sperimentazione per poi tornare in Argentina, diventato uno dei massimi e più globali interpreti del Concettuale». E questo apparve chiaro fin dalla Biennale di Venezia del 1968, quando Lamelas fu chiamato a rappresentare l’Argentina mentre nel 1972 fu invitato da Harald Szeemann a Documenta 5 a Kassel dove tornerà nel 2017.

All’ingresso «Gente di Milano» del 1970: il video non fa che registrare la banalità del passaggio delle persone davanti alle vetrine di una galleria, mentre undici scatti di questo passaggio raccontano il tentativo di fermare il tempo inesorabilmente infinito. Al primo piano della Fondazione si spalanca un universo formale di essenzialità e delicati rimandi, una visione che si costruisce nel dialogo e negli echi che risuonano con gli artisti che furono compagni di viaggio di Lamelas nella ricerca di matrice concettuale, a partire da Lucio Fontana, argentino di nascita come lui.

Si entra nei termini di una continua riflessione «come presa di coscienza della percezione stessa, con opere che parlano di tempo, lo congelano e lo reinterpretano attraverso la percezione di ciascuno», aggiunge Viliani. «Segnalamento» del 2014 accerchia «Impronta» di Luciano Fabro del 1964, entrando anche in una silenziosa relazione con Giovanni Anselmo, Giulio Paolini, Boetti e Emilio Prini.

Anche nell’altra sala i rimandi si moltiplicano, tra Sol LeWitt e Piero Manzoni con «Corner Piece», riedizione dell’opera del 1965 in cui l’angolo della stanza viene riplasmato in fuori. O tra «People and Time» (1969) con On Kawara e Douglas Hueber. «Office of Information about the Vietnam War: The Visual Image, Text and Audio» riporta alla Biennale delle contestazioni del 1968. All’ultimo piano l’inedita proposizione di opere pittoriche degli anni Ottanta completa il racconto della ricerca di Lamelas con questa fase di crisi e di ripensamento, a cui seguirà un ritorno al suo modus operandi.

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