21 gioiosi matti contemporanei al Chiostro del Bramante

È una mostra sulla follia nell’arte o sulla follia dell’arte? «Direi la seconda», risponde il curatore Danilo Eccher, «perché la follia è sempre stata una componente dell’arte, la nutre»

«Poured Staircase» (2022) di Ian Davenport
Guglielmo Gigliotti |  | Roma

Inaugura il 18 febbraio, e chiude l’8 gennaio 2023, la mostra «Crazy. La follia nell’arte contemporanea», presso il Chiostro del Bramante, per la cura di Danilo Eccher. Gli ambienti del convento fatto edificare dal cardinale Oliviero Carafa nei primi anni del Cinquecento sono invasi da 21 opere ambientali di altrettanti artisti: Carlos Amorales, Hrafnhildur Arnardóttir / Shoplifter, Massimo Bartolini, Gianni Colombo, Petah Coyne, Ian Davenport, Janet Echelman, Fallen Fruit / David Allen Burns e Austin Young, Lucio Fontana, Anne Hardy, Thomas Hirschhorn, Alfredo Jaar, Alfredo Pirri, Gianni Politi, Tobias Rehberger, Anri Sala, Yinka Shonibare, Sissi, Max Streicher, Pascale Marthine Tayou, Sun Yuan & Peng Yu.

È una mostra sulla follia nell’arte o sulla follia dell’arte? Direi la seconda, risponde Danilo Eccher, perché la follia è sempre stata una componente dell’arte, la nutre: per muoversi dentro le utopie c’è bisogno anche di follia. E la mostra vuole essere un invito al visitatore affinché si carichi del suo piccolo angolo di follia, quella parte di sé che in genere viene soffocata dagli schemi autoinflitti o imposti.

Come evitare che si dia della malattia mentale un’immagine gioiosa?

Facendo, come noi, riferimento a un’eccezione popolare del termine follia, quella più legata al senso comune, per cui, di un amico particolarmente dinamico e originale si dice con affetto «sei pazzo».

Come hanno risposto gli artisti che ha invitato?

Ecco, con gioia. Dopo due anni di sofferenza avevano tutti una gran desiderio di riconciliarsi col mondo, di rimboccarsi le maniche e di partecipare alla vita. C’è stata una grande disponibilità costruttiva.

Mi descriva le opere più «folli».

Tobias Rehberger allestisce un negozio, dove si potranno acquistare scatolette di pesce. L’americana Petah Coyne ha creato un intero giardino sospeso, con vegetali fantastici. Bartolini agisce invece «dal basso», con un pavimento luminoso che, nel refettorio dell’antico convento, dialoga con il grande ambiente bianco di Lucio Fontana. Alfredo Jaar opera in vari luoghi, con le sue scritte al neon murali recanti brevi aforismi o versi di poesia, da «mi illumino d’immenso» a «vogliamo tutto». Alfredo Pirri ha coperto il rettangolo del Chiostro di una superficie di specchi rotti.

Bramante applicò nel Chiostro le regole della più rigorosa classicità. Quale contrasto si crea con la «follia» delle opere in mostra?

Si crea un dialogo, anche se da presupposti contrari. Lavorare da contemporaneisti nell’antico è pericolosissimo, perché se non c’è lettura dell’antico, ma solo collocazione fredda di opere attuali, a perdere è sempre l’arte contemporanea, perché l’antico ha dalla sua parte i secoli.

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