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I panorami di Francesco

I panorami di Francesco

Walter Guadagnini

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Per gli usi e i costumi del mondo artistico italiano, Francesco Jodice è ancora da annoverare nella schiera dei giovani artisti, essendo nato appena nel 1967, ma la mostra «Panorama» che Camera-Centro Internazionale per la Fotografia gli dedica, dimostra come un autore importante e concettualmente ambizioso, quale Jodice è, possa produrre in vent’anni un corpus di lavoro articolato, in grado di reggere la prova di uno sguardo complessivo (dall’11 maggio al 14 agosto, a cura di Francesco Zanot, catalogo Mousse).

Per l’occasione, Jodice e Zanot hanno costruito un dispositivo di presentazione basato su alcuni assi tematici, che corrispondono ai nuclei centrali della poetica dell’artista, le ricorrenze del suo approccio al mondo e alla sua traduzione in immagine: il networking, l’antropometria, lo storytelling e la partecipazione. Tradotti in opere, questi temi divengono serie operative che si sviluppano e si intrecciano nel corso degli anni, che mescolano tecniche diverse, che compongono una visione e una lettura del mondo conscia della frammentarietà di ogni racconto possibile e insieme tesa a salvaguardare la necessità intellettuale e politica di restituire la complessità del reale.

Ecco allora susseguirsi negli spazi di Camera, in disordine cronologico, alcuni dei cicli più noti dell’autore: «What We Want», progetto iniziato nel 1996 e in continua e probabilmente inesauribile evoluzione, visione sfaccettata delle metropoli contemporanee; «The Secret Traces» realizzata tra 1997 e 2007, nella quale gli abitanti di quelle stesse metropoli vengono pedinati dall’autore che trasforma la banalità del quotidiano in una sorta di surreale detective story; «Citytellers», la trilogia in forma di video dove la forma del documentario si scompone e ricompone narrando tre realtà estreme: Dubai, il Lago Aral e San Paolo in Brasile. E ancora, le storie più esplicitamente legate al nostro Paese, quelle di «Ritratti di classe» (2005-09), gioco di parole che sottende la costruzione di una sorta di archivio dei luoghi attraverso la memoria dei loro abitanti, mentre «The Room», realizzato a partire dal 2009 e concluso quest’anno, è un’esplicita visualizzazione della difficoltà di conferire un senso non tanto alle cose quanto alle notizie.

Infine, il lavoro dedicato al Mediterraneo realizzato nel 2002 con il gruppo Multiplicity, di cui Jodice è stato tra i fondatori, un lavoro collettivo che riflette sui drammi dell’oggi, rivelandone origini che vanno al di là della cronaca quotidiana. Tutto ciò si confronta e si intreccia con i materiali di lavoro dell’artista disposti su un tavolo lungo quaranta metri, progettato dall’architetto Roberto Murgia, dove convivono pratiche e idee relative alle opere, appunti, ritagli di giornale, provini, immagini, interviste, tutto ciò che precede e affianca il cosiddetto lavoro finito, dimostrando come il processo sia l’aspetto probabilmente più importante della ricerca di Jodice.

 

Walter Guadagnini, 06 maggio 2016 | © Riproduzione riservata

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