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Allo Städel la speciale relazione tra il pittore olandese e i seguaci dell'Espressionismo tedesco che ne subirono il fascino
- Francesca Petretto
- 22 ottobre 2019
- 00’minuti di lettura


Vincent Van Gogh «Augustine Roulin (La Berceuse)» (particolare), 1889, Amsterdam, Stedelijk Museum. © Stedelijk Museum Amsterdam
Francesca Petretto
Leggi i suoi articoliLa rassegna «Making Van Gogh. Storia di un amore tedesco» sarà ospitata nello Städel Museum a partire dal 23 ottobre e fino al 16 febbraio. Il titolo ne riassume a grandi linee il contenuto: parla di una speciale relazione amorosa tra il tormentato pittore olandese e il suo pubblico di ammiratori tedeschi, in realtà un amore platonico, consumato sulla tela dai suoi seguaci contemporanei e postumi in Germania, una fascinazione che lega indissolubilmente la fortuna post mortem (1890) del primo sia al lavoro di galleristi, collezionisti, critici d’arte e musei tedeschi, sia all’allora nascente scuola espressionista.
I giovani artisti berlinesi lo adoravano: «Van Gogh è morto ma la sua gente vive eccome! Vangoghiani pullulano ovunque!», scriveva nel 1910 il poeta nazionale Ferdinand Avenarius sulle pagine della rivista «Der Kunstwart».
Poco più che cent’anni dopo riscopriamo quel fantastico sentimento riservato solo ai grandi in una mostra che mette in relazione una selezione di opere chiave di tutte le fasi creative di Van Gogh, circa 50 dipinti grazie ai prestiti eccezionali da Boston, Chicago, Cleveland, Monaco, New York, Praga, Washington, con oltre 70 opere dalla vasta collezione di pittori espressionisti di cui dispone il museo ospitante.

Vincent Van Gogh «Augustine Roulin (La Berceuse)» (particolare), 1889, Amsterdam, Stedelijk Museum. © Stedelijk Museum Amsterdam