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Un’«azione» di Roman Signer svoltasi all’Istituto Svizzero nel 1985 © Roman Signer

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Un’«azione» di Roman Signer svoltasi all’Istituto Svizzero nel 1985 © Roman Signer

Sculture in fuga

Roman Signer all'Istituto Svizzero di Roma

Silvano Manganaro

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Se Jean Tinguely fu il primo a concepire la scultura come oggetto performativo e, in alcuni casi, autodistruttivo, è stato senza dubbio Roman Signer a farne la cifra distintiva del proprio lavoro, portando quest’idea a uno sviluppo successivo.

Austriaco, classe 1938, Signer è l’artista che ha puntato sulla modificazione dell’oggetto scultoreo, una modificazione improvvisa e rapidissima, tanto da poter essere bloccata solo grazie all’utilizzo del mezzo fotografico.

Fino al primo luglio il suo lavoro è visibile all’Istituto Svizzero con una mostra che parte dalle sue prime fotografie in bianco e nero (in gran parte inedite) per arrivare alle sculture e alle fotografie a colori più recenti.

Il titolo della mostra, «Skulptur/Fotografie», contrappone e, allo stesso tempo, giustappone le due tecniche artistiche facendone le due facce della stessa medaglia: l’immagine di un oggetto che produce fumo o esplode è la traccia di una scultura effimera (che si cristallizza nel millesimo di secondo di uno scatto) o una semplice fotografia (nella foto, un’«azione» di Roman Signer svoltasi all’Istituto Svizzero nel 1985)?

Un’«azione» di Roman Signer svoltasi all’Istituto Svizzero nel 1985 © Roman Signer

Silvano Manganaro, 02 maggio 2018 | © Riproduzione riservata

Sculture in fuga | Silvano Manganaro

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