La mostra autunnale del Leopold Museum è incentrata su Max Oppenheimer, «un espressionista della prima ora», come lo definisce il sottotitolo della rassegna aperta dal 6 ottobre al 25 febbraio 2024.
«Con oltre 190 opere, di cui 145 di Oppenheimer, questa retrospettiva è la più ampia finora realizzata ed è un invito a riscoprire una produzione artistica quasi dimenticata, spiega il curatore Hans-Peter Wipplinger. Quella di Oppenheimer è un’impronta originale che staturisce da curiosità, continua ricerca e desiderio di produrre un cambiamento, e che ha fornito un contributo sostanziale al Modernismo. Negli anni Venti era un artista riconosciuto e affermato, sia per i suoi dipinti sia per i suoi disegni e i lavori a stampa. A maggior ragione è inspiegabile come sia stato quasi oscurato dall’oblio».
Artista viennese nato nel 1885 da una colta famiglia borghese e rimasto a lungo nel cono d’ombra di concittadini assurti a fama internazionale, come Egon Schiele e Oskar Kokoschka, fu legato al primo, di cinque anni più giovane, da un’amicizia che sfociò anche in opere create insieme tra il 1910 e il 1911 e in reciproci ritratti. Col secondo, un’iniziale amicizia venne via via turbata da una profonda rivalità.
In Austria fu tra i primi a confrontarsi con il Cubismo e il Futurismo, facendone confluire elementi nella propria produzione. Attorno al 1910 si colloca la svolta verso l’Espressionismo ma la sua sfaccettata personalità e i suoi ramificati interessi lo portarono a essere fra l’altro nel 1916 tra i cofondatori del Cabaret Voltaire a Zurigo. Anche ricercato ritrattista d’intellettuali e artisti, scelse di firmarsi «Mopp» e condusse una vita errabonda, con lunghi periodi a Berlino. Durante l’ascesa del nazismo, nel 1932 tornò dapprima nella natia Vienna, ma dovette fuggire nuovamente nel 1938, già con lo stigma di artista degenerato, riparando negli Stati Uniti, dove morì nel 1954: «Che alla fine della lunga serie di città dove Oppenheimer visse non figuri Vienna, e che la sua morte sia avvenuta a New York da sradicato, in miseria e solo, non è un titolo di onore per la politica culturale dell’Austria e della sua città natale», prosegue Wipplinger.
La mostra, che si avvale del sostegno economico della casa d’aste Im Kinsky (nell’ambito di un articolato programma di collaborazione), presenta una selezione di dipinti, disegni e grafica, oltre a documenti e fotografie, che illustrano l’evoluzione di Oppenheimer verso un sempre più definito focus su un’arte tesa a esplicitare l’essenza dell’essere umano. Un ulteriore interesse portante della produzione di Oppenheimer fu inoltre la musica, tematizzata sia in numerosi ritratti sia in opere con le quali l’artista provava a riprodurre dinamicamente musicisti in concerto. Di grande spicco sono i due dipinti monumentali «L’orchestra» (1921-23) e «I filarmonici», cui lavorò dalla metà degli anni Trenta fino all’inizio degli anni Cinquanta e che venne esposto per la prima volta nel 1952.