Se il nome di Giorgio de Chirico si lega soprattutto alla prima stagione della Metafisica, dal 1910 al 1923, «De Chirico e la Metafisica», a cura di Saretto Cincinelli e Lorenzo Canova a Palazzo Blu a Pisa, dal 20 gennaio, si rivolge anche a stagioni quali la «seconda Metafisica» e la «Neometafisica». Stagioni che solo ora stanno riconquistando l’attenzione della critica, troppo a lungo penalizzate dalle forti riserve espresse dal surrealista André Breton, nonostante già la retrospettiva dei primi anni Sessanta a Milano ne avesse svelato l’importanza ed artisti quali Andy Warhol (esiste una singolarissima foto che li ritrae insieme a New York) e Giulio Paolini abbiano dimostrato tanto interesse per quel maestro.
Il percorso cronologico muove dalle prime opere simboliste, «böckliniane», per giungere, dopo gli anni della Metafisica, gli anni Trenta e il periodo «neobarocco», al recupero della metafisica.
Fulcro della mostra (catalogo Skira) sono i «De Chirico di de Chirico», le opere dell’artista donate nel 1987 alla Galleria Nazionale di Roma o provenienti dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico (nella foto, «Bagni misteriosi», 1965 ca) insieme ad altri notevoli dipinti prestati da istituzioni quali la Pinacoteca di Brera o il Mart di Rovereto.
I dipinti del «pictor optimus», dove le cose paiono sempre dominate da una fatalità illogica, hanno una forza iconica e misteriosa che non cessa di suscitare interrogativi sul rapporto tra l’uomo e la realtà e che d’altronde non mancò di segnare artisti a lui contemporanei quali Carrà, Savinio e de Pisis, Sironi e Martini, presenti in mostra. È infatti calzante la definizione di Maurizio Calvesi di «Metafisica continua», a sostegno di un approccio più concettuale dell’arte di quel maestro.