«Se gli artisti non hanno grandi e importanti compiti da realizzare, se le loro creazioni non hanno altro scopo che portare fama e fortuna a pochi eletti e divertimento e piacere personale ai loro beneficiari, come possiamo giudicarli se non attraverso la montatura pubblica che di solito li accompagna in un determinato momento?» si domandava Zygmunt Bauman in un suo noto saggio (Per tutti i gusti. La cultura nell’età dei consumi, 2016, Editori Laterza).
Come dare torto al sociologo polacco in relazione ai linguaggi della creatività contemporanea? A maggior ragione in un momento storico in cui l’espressione più deplorevole di un nazionalismo radicale sta sacrificando migliaia di vite umane, gli artisti che contribuiscono a comunicare temi «caldi», di cui tanto si parla ma di cui si ignorano gli aspetti drammatici più ordinari, incarnano una condotta ideale, auspicabile proprio dalle menti più critiche e visionarie.
Paolo Grassino (Torino, 1967) da sempre guarda con interesse la società moderna di cui offre una sua personale visione, frutto di un’originale commistione tra il mondo naturale e quello artificiale. Per la terza edizione della Biennale Città di Pinerolo, che inaugura giovedì 7 settembre alla Cavallerizza Caprilli (sino al 7 gennaio 2024), ha concepito un percorso espositivo, «Incursioni», curato da Franco Fanelli e con la direzione artistica della Galleria Losano Associazione Arte e Cultura, in cui è centrale il tema della guerra.
La manifestazione, che prevede l’esposizione di opere monumentali in luoghi pubblici di particolare interesse, quest’anno ha un «epicentro», la cavallerizza cittadina per l’appunto, maestoso edificio di inizio Novecento che in passato veniva utilizzato per allenamenti militari, concorsi ed eventi comunali. Entrando in questa sede si è sorpresi da uno scenario catastrofico: al centro della pista, lo schianto di un aereo da caccia sovietico utilizzato negli anni Cinquanta durante la Guerra Fredda («Mig 15» del 2012).
D’un tratto, con un abile «coup-de-théâtre», il passato pare proiettarsi sul presente. Il periodo in cui la minaccia nucleare era ritenuta un rischio concreto ritorna più che mai attuale toccando la sfera emotiva in profondità e trasmettendo la sensazione di un «tempo senza tempo» in cui permangono accadimenti che sempre tormentano il vissuto dell’uomo. All’esterno della struttura il regista dell’intera opera ha fornito degli indizi sibillini come a preannunciare questa presenza impattante.
Due figure «mutanti», dal cui viso traboccano ramificazioni, parte della «Serie Zero» del 2018, paiono silenti introduttori della «narrazione scenica» e parimenti suoi guardiani. Ancora dentro la costruzione, alle pareti dei piani superiori, compaiono pannelli traforati, paesaggi urbani bombardati dal titolo quanto mai esplicito: «Guerra è sempre (Est e Ovest)» del 2018. Nello stesso luogo, calchi in cemento del volto di Grassino, «Senza nome» del 2021, sono segnati da ferite in forma di brandelli tessili, mentre a terra un’installazione di mattoni di cemento, «Guerra è sempre (Edificare)» del 2018, è un memoriale in ricordo dei caduti che fa venire in mente altri interventi affini come quelli degli artisti Menashe Kadishman o Gunter Demnig.
A cogliere ancora di sorpresa lo spettatore è «Cardiaco» del 2006, un gigantesco cuore nero in alluminio posto sull’altura di San Maurizio, nella terrazza panoramica del Santuario Madonna delle Grazie. «Come l’aereo schiantato della Cavallerizza può somigliare a un gigantesco mozzicone di sigaretta schiacciato in un posacenere, così, in questa collocazione, “Cardiaco” sembra enfatizzare in maniera parossistica il significato sacrificale di questo elemento, che diventa “Sacré Coeur” laico, inopinata incursione di un’opera d’arte contemporanea in un tessuto storico e sociale gravido di storia», spiega Fanelli.
Nella Galleria Losano, in una sezione della Biennale intitolata «Sulla linea», sono collocate quattro sculture, colate in cemento e rivestite di indumenti imbottiti neri. Una linea invisibile, ma reale, di vetro, taglia in due ciascun «corpo», demarcando la separazione tra l’essere e il nulla. Alle pareti, una serie di acrilici mostrano volti egualmente inquietanti e metamorfici.