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Alla Fondazione Memmo la metamorfica personalità dell’artista canadese è rappresentata fisicamente anche dalle parrucche e dal vestiario distribuiti nei vari ambienti
- Guglielmo Gigliotti
- 02 maggio 2023
- 00’minuti di lettura


Uno still dal video «Dreaming the end» (2023), di Sin Wai Kin
Il fotoromanzo di Sin Wan Kin
Alla Fondazione Memmo la metamorfica personalità dell’artista canadese è rappresentata fisicamente anche dalle parrucche e dal vestiario distribuiti nei vari ambienti
- Guglielmo Gigliotti
- 02 maggio 2023
- 00’minuti di lettura
Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliL’arte di Sin Wai Kin è non binaria, come la sua vita. Nata nel 1991 a Toronto col nome di Victoria Sin, dal 4 maggio al 29 ottobre l’artista canadese è presente nella Fondazione Memmo con la mostra «Dreaming the end», curata da Alessio Antoniolli. Fulcro della mostra è la video opera che dà il titolo all’insieme, dove sogno e realtà, dramma e ironia, cultura «alta» e popolare si alternano in una narrazione enigmatica e sospesa, senza tempo e senza apparente senso, al cui centro si installa proprio la mutevole figura dell’artista.
Vistoso trucco, eccentriche parrucche, raffinati abbigliamenti vanno a moltiplicare le apparenze dell’individualità «aperta» dell’artista, come a indicare una protagonista unica ma multifacce. È infatti sempre lei ad attraversare, nella video opera, sontuosi saloni di Palazzo Ruspoli, tra stucchi dorati e antiche opere d’arte alle pareti, o i giardini di Villa Medici sul Pincio, oppure a stazionare davanti al Palazzo della Civiltà all’Eur.
Roma è infatti, dopo la metamorfica personalità dell’autrice-attrice, la coprotagonista di questo viaggio onirico. Il principio secondo cui chiunque può essere altro, trova quindi rispondenza nella visione di una città che contiene molte città. Il personaggio multiplo illustrato nel film «Dreaming the end» è rappresentato fisicamente anche dalle parrucche e dal vestiario distribuiti con sensibilità installativa negli ambienti della Fondazione Memmo.
Tra le reliquie, anche le salviette struccanti con le tracce del make-up. La mostra non è accompagnata da un catalogo in senso tradizionale, ma da un fotoromanzo, che risponde all’esigenza di restituire il flusso video delle immagini. Incontri e laboratori didattici rivolti ai bambini tra i cinque e gli undici anni offriranno le chiavi di lettura dell’operazione in senso anche ludico.

Uno still dal video «Dreaming the end» (2023), di Sin Wai Kin