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Arianna Antoniutti
Leggi i suoi articoliLa Galleria Borghese dà inizio questo mese al proprio programma espositivo per il 2022 che avrà come filo conduttore il tema del rispecchiamento fra pittura e paesaggio. La stagione è inaugurata il primo marzo dalla mostra «Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura» (fino al 22 maggio), curata dalla direttrice del museo, Francesca Cappelletti.
L’occasione per riflettere sull’arte del «Divino Guido» (1575-1642) è fornita dalla «Danza campestre», opera appartenuta, proprio qui nella sua Villa Pinciana, a Scipione Borghese, cùpido collezionista e grande estimatore del pittore bolognese. Comparso sul mercato antiquario nel 2008, il dipinto è rientrato nelle collezioni della Galleria nel 2020, su segnalazione al MiC di Anna Coliva, allora direttrice del museo.
In mostra, accanto alla «Danza campestre», databile intorno al 1605 e rivelatrice di un inedito aspetto del Reni quale pittore di paesaggi, figurano importanti prestiti e dipinti della Borghese che inquadrano la pittura dell’artista nel contesto romano, con affondi sul rapporto con l’antico e con Caravaggio.
Abbiamo chiesto alla direttrice Cappelletti quali aspetti di novità ci riserva l’esposizione: «Non sapevamo nulla dell’attività di Reni pittore di paesaggi “autonomi”, piccoli dipinti che raffigurano brani naturali animati dalla presenza di scene quotidiane, come il “Paesaggio con il Ballo campestre”, e per esempio il “Paesaggio con Amorini” già nella collezione Farnese, che sarà presente in mostra.
Ma alcune straordinarie aperture paesistiche sullo sfondo, come nei “Santi Pietro e Paolo” della Pinacoteca di Brera, che sarà in mostra, nella sala di Caravaggio della Galleria Borghese, e l’attenzione alla descrizione atmosferica nel “Riposo durante la Fuga in Egitto”, solo per citare alcuni casi, facevano sospettare questo interesse. Non dobbiamo dimenticare che Vincenzo Giustiniani, scrivendo la sua “Lettera sulla pittura”, citava già Guido con i Carracci e Tiziano fra i maestri del “fare paesi”.
Guido, del resto, mostra la sua grande indipendenza anche nella pittura di paesaggio. I suoi conterranei, da Annibale Carracci a Domenichino, a Francesco Albani, cercano soluzioni moderne per la pittura di paesaggio, genere di stupefacente successo a Roma, dove nei fregi ad affresco, addirittura nelle sale del Palazzo Apostolico, si era affermato fin dalla fine del Cinquecento. Guarda certamente anche alla pittura fiamminga, ma il risultato è completamente originale: un paesaggio “al naturale”, con qualche episodio come nella pittura nordica, ma anche come nel “Guado” di Domenichino, e uno spessore di blu e di azzurri che sarà la sua cifra anche negli anni successivi al soggiorno romano. Il blu di Reni non ce lo possiamo dimenticare».
Durante l’esposizione proseguirà l’iniziativa «I quadri scendono le scale», che presenta al pubblico, a rotazione, opere dei depositi del museo: «L’iniziativa sta avendo un successo inaspettato, afferma Cappelletti, e quindi abbiamo pensato di farla proseguire fino all’incontro, e oltre, con la mostra di Guido Reni. Da un lato infatti, in vista della mostra, è importante riportare e consolidare l’attenzione sui paesaggi, componente ineludibile di tutte le collezioni aristocratiche del Seicento, dall’altro le opere dei depositi faranno da contorno alla sezione paesaggio della mostra su Reni per contestualizzarla ancora meglio».
Il successivo appuntamento espositivo della Galleria Borghese, dopo Reni, sarà in giugno con «Tiziano. Dialoghi di Natura e di Amore. La Galleria Borghese incontra la Ninfa con pastore di Vienna», a cura di Maria Giovanna Sarti (15 giugno-18 settembre), mentre in autunno si terrà «Meraviglia senza tempo. Pittura su pietra a Roma nel Seicento», a cura di Francesca Cappelletti e Patrizia Cavazzini (25 ottobre-29 gennaio 2023).

Una veduta dei depositi della Galleria Borghese. Cortesia Galleria Borghese

Guido Reni, «Amori in gioco», olio su tela. Collezione Altomani and Sons, Milano-Pesaro. © Altomani and Sons