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«Natura Morta» di Giorgio Morandi (1941)

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«Natura Morta» di Giorgio Morandi (1941)

«Morandi e la contemporaneità» a Palazzo Bagatti Valsecchi

Maurizio Nobile espone a Milano l’attualità della poetica del maestro del Novecento

A pochi passi dalla grande mostra di Giorgio Morandi a Palazzo Reale a Milano, la galleria Maurizio Nobile, che si apre nel sito privato di Palazzo Bagatti Valsecchi (12 ottobre-20 dicembre 2023), presenta un’esposizione in cui il maestro bolognese (1890-1964) è posto in dialogo con due artisti di oggi, lo scultore del vetro Joan Crous (1962) e il pittore Andrea Federici (1957). L’arte silenziosa di Morandi, la sua capacità rara di indagare ciò che sta dietro all’apparenza delle cose più umili e consuete, il silenzio delle sue composizioni, non hanno mai smesso, infatti, di esercitare una forte influenza sugli artisti delle generazioni successive, che hanno declinato il suo magistero in modi differenti.

Qui, come scrive Marco Carminati nel catalogo (SageP) dedicato a Morandi, si assiste a «un trio della migliore tradizione barocca [il cui] “cantus firmus” è rappresentato da un nucleo piccolo ma molto significativo di tele, disegni e incisioni» del maestro. Su questi suoi lavori, degli anni tra i Quaranta e i Sessanta, s’innesta la seconda voce, quella di Joan Crous (1962), scultore di origine catalana che da oltre 25 anni vive tra Barcellona, Bologna e l’Appennino bolognese, nei luoghi amati da Morandi. Crous lavora con una materia singolare come il vetro riciclato, cui conferisce un’apparenza da reperto archeologico: accade nelle sue «Cenae», dove stoviglie quotidiane come bottiglie, bicchieri, piatti, appaiono opacizzate e come calcinate dal tempo («gli oggetti plasmati da Crous assomigliano a quelli di questo mondo ma non gli appartengono: sono fantasmi, simboli, emblemi», scrive Stefano Bosi in catalogo), e accade negli altri suoi lavori di segno «conviviale», oltre che negli espliciti «Omaggi a Morandi» (come sfuggire, del resto, alla malìa del maestro, vivendo nei suoi stessi luoghi?): tutte opere, le sue, nelle quali la cromia, come nella gran parte dei lavori di Morandi, è limitata a una gamma ristretta di colori.
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La terza voce è quella del cremonese Andrea Federici (commentato in catalogo da Simone Fappanni), dapprima dedito alla fotografia artistica, poi alla sola pittura, in cui esercita una sapienza antica, di un’esattezza volutamente accentuata, dando vita a composizioni che sembrano porsi nell’area del Realismo magico, in bilico tra presente e passato, verità e sogno, realtà e simbolo. Con uno sguardo, specie nelle «Stanze», che pare rivolto anche agli interni silenziosi di Felice Casorati. Non seguaci o «allievi» di Morandi, dunque, ma artisti che con quel maestro inarrivabile condividono la ricerca di un rapporto poetico, perfino spirituale, con gli oggetti che rappresentano.
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Quanto a Giorgio Morandi, sono presenti in questa mostra cinque dipinti, tutti dalla ricca storia espositiva, a partire dalla «Natura morta» del 1941 che fa parte di un piccolo gruppo di lavori di quell’anno («variazioni» le chiamava, o «opere di simil soggetto») in cui il maestro introduce due bottiglie di un azzurro che pare uscito da un dipinto dell’amato Vermeer (già introdotto, talora, da Morandi nei due decenni precedenti) all’interno di una composizione di assoluta purezza formale, fondata su diagonali suggerite dalla diversa altezza degli oggetti e dall’orientamento delle ombre. Dello stesso anno, ma diversa nell’impostazione, che qui è paratattica, è la «Natura morta» della collezione Giovanardi Rossi, in cui le bottiglie compongono una sorta di barriera dai toni polverosi fra i quali si affaccia, invece, una traccia di rosso.

Dalla Galleria del Milione, con cui Morandi intrattenne rapporti privilegiati, passò la terza «Natura morta» in mostra, del 1962, parte di una serie di lavori degli anni tra il 1960 e il 1962, in cui Morandi dispone alcuni barattoli cilindrici di diverso colore in primo piano e, alle loro spalle, una di quelle brocche sgraziate che si trovavano allora in ogni casa. Due i dipinti di «Fiori»: uno del 1942, con umili giacinti selvatici, alcuni dei quali caduti sul tavolo, e qualche margherita; il secondo, del 1955, dove dall’amato vasetto dalle strisce verticali turchine, si alza una breve composizione di rose, non fresche come i giacinti, ma di seta, come da un certo punto preferì fare. Due i disegni a matita, nature morte entrambi (in uno figura il vasetto a righe azzurre dal collo svasato, oltre all’imbuto i cui volumi massicci tornano così spesso nelle sue composizioni), e poi sei delle sue magistrali incisioni ad acquaforte, tutte degli anni tra il 1924 e il 1931, in cui si palesa quel suo magistero per il quale, nel 1930, gli fu assegnata «per chiara fama» la cattedra d’Incisione all’Accademia di Belle Arti di Bologna.

«Ombre di narciso con bottiglie» di Andrea Federici (2022)

«M.XI» di Joan Crous (2023)

Ada Masoero, 10 ottobre 2023 | © Riproduzione riservata

«Morandi e la contemporaneità» a Palazzo Bagatti Valsecchi | Ada Masoero

«Morandi e la contemporaneità» a Palazzo Bagatti Valsecchi | Ada Masoero