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A Palazzo Pitti una vasta retrospettiva della pittrice austriaca
- Laura Lombardi
- 17 aprile 2017
- 00’minuti di lettura


Maria Lassnig: l’autoritratto è l’anatomia dell’io
A Palazzo Pitti una vasta retrospettiva della pittrice austriaca
- Laura Lombardi
- 17 aprile 2017
- 00’minuti di lettura
Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliOltre alla mostra che le Gallerie degli Uffizi dedicano a Plautilla Nelli (cfr. p. 46), un’altra donna, Maria Lassnig (1919-2014), Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2013, è protagonista di una retrospettiva. «Woman Power», a cura di di Wolfang Drechsler, realizzata con la collaborazione dell’Albertina di Vienna all’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti, fino al 25 giugno celebra il lavoro di un’artista che scelse di concentrare la sua ricerca sull’autoritratto, inteso come espressione di «solitudine della critica, incapacità di sfruttare gli altri, meditazione e applicazione di un bisturi chirurgico su un soggetto volontario, l’Io».
Nelle creature frammentarie che occasionalmente «terminano in qualcosa di reale», la Lassnig sperimenta Espressionismo, Cubismo, Surrealismo e Informale, ma ribadisce nel manifesto della mostra «Unfigurative Malerei» («Pittura non figurativa», organizzata nel 1951 con Arnulf Rainer presso la Künstlerhaus di Klagenfurt), quanto l’abbandono del figurativo non significhi «un’assenza, né un distacco dal mondo, ma piuttosto un accumulo condensato di tutte le sue possibilità e contraddizioni». Dagli agglomerati di colore allo spazio oltre la tela nei «Strichbilder» («quadri di linee»), seguendo il filo delle sensazioni corporee e del loro concentrarsi in punti cruciali, per poi giungere ai «Mostri» del 1964, dove la pittura delle sensazioni corporee si espande a «sensazioni plastiche» o agli autoritratti con animali, feticci protettori.
L’attenzione al corpo umano, alla sua mimica, è anche strumento di indagine del rapporto maschio/femmina, processo di acquisizione di consapevolezza riguardo agli outsider della società, mantenendo però netta indipendenza di approccio rispetto ai movimenti viennesi o statunitensi (si traferisce a New York nel 1968 per far ritorno a Vienna nel 1980). Una linea perseguita con rigore fin negli anni della maturità, quando la Lassnig rimedita lavori precedenti, che l’antologica fiorentina mette in luce attraverso una scelta di opere nell’arco di cinque decenni di attività.