Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Camilla Bertoni
Leggi i suoi articoliInizia con la rappresentazione del mondo nel Medioevo e finisce con «Space Oddity» di David Bowie, per poi ricominciare dal racconto di una vicenda nata localmente, ma divenuta di impatto internazionale. «L’occhio in gioco. Percezione, impressioni e illusioni dell’arte», è un sorprendente percorso espositivo che apre domani 24 settembre al pubblico (fino al 26 febbraio), ospitato nelle sale del Palazzo del Monte di Pietà di Padova. Si tratta di un ambizioso progetto sostenuto da Fondazione Cariparo e contiene due mostre.
La prima, un percorso storico curato da Luca Massimo Barbero, racconta l’arte che si è avventurata nell’indagine sulla «sottile differenza tra ciò che è vero e ciò che potrebbe esserlo, ma non lo è, concentrandosi sul colore, l’ottica, il movimento, la percezione». La seconda, curata da Guido Bartorelli, Giovanni Galfano, Andrea Bobbio e Massimo Grassi, è un grande omaggio a Padova e agli ottocento anni della sua Università, a quel magico momento in cui arte e scienza hanno trovato un terreno fertile e numerosi punti di incontro, nutrendosi vicendevolmente. Sono gli anni della fondazione da parte di Vittorio Benussi (e i suoi allievi Musatti, Metelli e Kanisza) di un laboratorio sperimentale di studi di psicologia, legato ai meccanismi della percezione e della nascita del Gruppo N, costituito nel 1960 da Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi e Manfredo Massironi a cui si affianca Marina Apollonio.
«Una mostra storica, ma pensata per le nuove generazioni, spiega Luca Massimo Barbero, per far conoscere loro che gli strumenti dell’inganno visivo nascono ben prima del cellulare. Una mostra non didattica, che “si tiene”, procedendo per temi che si richiamano continuamente a quelli della prima sala». Scegliendo come inizio il «fiat lux», la creazione della luce e dei colori, Barbero ha selezionato preziose e antiche raffigurazioni del mondo, a partire da quella del padovano Giovanni Dondi dall’Orologio, per radicarvi le origini di un modo di fare arte seguendo i meccanismi dell’occhio e della mente, affiancandovi fin dalla prima sala le piccole opere di Schawinsky, Kandinskij e Kupka, «grandi mistici dell’arte contemporanea».
«Una mostra, spiega ancora il curatore, in cui il visitatore può essere regista», aprendo a suo piacimento i cassetti che svelano di volta in volta piccoli grandi capolavori, capaci di illuminare la strada della storia dell’arte con geniali intuizioni cromatiche, da Schwitters a Ponti e Munari, «passando per autori legati al mondo della tessitura e della moda, come Sonya Delaunay, o con un rarissimo Balla, una cartolina con la “Compenetrazione iridescente n. 1”, proveniente dalla collezione di Laura Biagiotti. Perché abbiamo imparato dai tintori, ricorda Barbero, a riconoscere i colori, ed ecco perché la mostra intreccia la storia dell’arte con quelle del tessuto e della moda».
Costruita con continui richiami tra una sala e l’altra, la mostra svela chicche e opere rare, come un disegno di Picasso di nudo in movimento del 1909, pubblicato su un numero de «la Voce» del 1912. Lo si trova in un altro dei cassettini dell’allestimento nella sala dedicata alla rappresentazione del movimento che rapì gli artisti, a partire da Balla e Duchamp e gli studi di fotografia. Grande spazio a Calder e a Vasarely i cui studi cromatici che si alterano all’interno della cornice escono per la prima volta dalla Fondazione a lui intitolata. Un’intera stanza è per Dadamaino, con la serie di disegni su poliestere «Sein und Zeit».
«Una mostra che parla della luce e della creazione», chiosa Barbero, e che si chiude in musica, per ricordare come l’orecchio sia l’altro fondamentale senso di percezione del mondo accanto all’occhio. L’orario di apertura della rassegna fino al primo ottobre si protrarrà alla mezzanotte, con la proiezione di opere di artisti del Gruppo N sulla facciata del Palazzo del Monte di Pietà (info: www.palazzodelmontepadova.com, catalogo in due volumi Silvana Editoriale).

Un particolare di «La città che sale» (1910) di Umberto Boccioni Milano, Pinacoteca di Brera © Pinacoteca di Brera, Milano