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La Fondazione Imago Mundi nelle Gallerie delle Prigioni allestisce un percorso che si snoda tra fotografie, dipinti e installazioni, generati da contesti culturali e generazionali diversi
- Camilla Bertoni
- 04 aprile 2023
- 00’minuti di lettura


«Dead Leaves and the Dirty Ground II» (2011), di Richard Mosse. Cortesia dell’artista, carlier | gebauer (Berlin/Madrid) e Jack Shainman Gallery (New York)
La guerra vista con gli occhi di 14 artisti
La Fondazione Imago Mundi nelle Gallerie delle Prigioni allestisce un percorso che si snoda tra fotografie, dipinti e installazioni, generati da contesti culturali e generazionali diversi
- Camilla Bertoni
- 04 aprile 2023
- 00’minuti di lettura
Camilla Bertoni
Leggi i suoi articoliGuerre iniziate e mai veramente finite, in fase esplosiva o sotterranee, dimenticate, tante, più di quante immaginiamo, vecchie e nuove. Dall’Ucraina nelle foto di Maxim Dondyuk che la documentano dal 2014, al Congo, raccontato attraverso gli scatti dell’Irlandese Richard Mosse, all’Igloo del generale vietnamita Giap di Mario Merz, i Paesi in guerra sono visti attraverso gli occhi di 14 artisti del mondo, con opere di ieri, ma soprattutto di oggi, che dei conflitti hanno indagato cause, dinamiche, orrori.
«La guerra è finita! La pace non è ancora iniziata» è un progetto della Fondazione Imago Mundi che nelle Gallerie delle Prigioni allestisce un percorso che si snoda tra fotografie, dipinti e installazioni, generati da contesti culturali e generazionali diversi. Sotto l’egida della prima bandiera della pace, realizzata per la marcia di Assisi nel 1961, le dinamiche del potere e della violenza sono raccontate dal pittore americano Leon Golub.
C’è il Vietnam nella storica serie di collage «Bringing the War Home» realizzati dall’americana Martha Rosler durante il conflitto, tra il 1967 e il 1972, mentre Harun Farocki dal Vietnam si sposta al Golfo con un documentario che indaga le relazioni tra guerra e capitalismo. Al video sui campi di addestramento israeliani di Ran Slavin fanno eco le basi missilistiche americane in Corea del Nord negli scatti di Sim Chi Yin.
E poi un tuffo nel passato (ma è passato?) con Francesco Arena e la stanza del vecchio carcere di Procida dove furono i gerarchi fascisti, le trincee della prima guerra mondiale dipinte da Terry Atkinson, le parole di Gramsci riportate nei neon di Alfredo Jaar, la ricostruzione che Massimo Bartolini propone del pianoforte che le armate americane portavano nelle campagne militari per sollevare il morale.
Una carrellata che si chiude con un sogno, quello di Pedro Reyes: che le armi si trasformino in strumenti musicali. La mostra si visita dal 5 aprile al 17 settembre, al venerdì pomeriggio, sabato e domenica mattina e pomeriggio, aperture straordinarie 5, 6, 10 aprile al pomeriggio. Info, anche sul calendario di appuntamenti con esperti di geopolitica, sul sito della Fondazione.

«Dead Leaves and the Dirty Ground II» (2011), di Richard Mosse. Cortesia dell’artista, carlier | gebauer (Berlin/Madrid) e Jack Shainman Gallery (New York)