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Franco Fanelli, Stefano Luppi
Leggi i suoi articoliQuest’anno non c’è la Biennale di Arti visive a Venezia, ma il MAMbo, dal 22 giugno all’11 novembre, offre un gigantesco «Padiglione Italia».
Il «taglio» è giovane (sono stati selezionati solo artisti nati non prima degli anni Ottanta); la formula è quella, open e transnazionale, della Biennale d’arte americana del Whitney Museum: nella mostra curata dal direttore Lorenzo Balbi nella Sala delle Ciminiere, il principale spazio espositivo del museo bolognese, espongono italiani che lavorano nel nostro Paese e/o all’estero, oppure stranieri che hanno studiato in Italia o che ci lavorano.
«That’s It. Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine», trae il suo sottotitolo da un’ironica poesia di Brunio Munari intitolata «Arte e confini», in cui l’artista e designer riflette sul concetto di appartenenza nazionale o geografica applicato agli artisti.
«Con questa mostra, spiega Balbi, rivendichiamo una sorta di ius soli». Ecco perché tra i 57 artisti figurano, ad esempio, i già noti Adelita Husny-Bey, nata a Milano ma di origini libiche, o Petrit Halilaj, kosovaro formatosi in Italia: la prima al Padiglione Italia ha esposto davvero, lo scorso anno; il secondo ha avuto un’importante personale all’HangarBicocca di Milano.
«È una mostra generazionale, continua il curatore, focalizzata sui giovani così come è sempre stato nella tradizione prima della Galleria Comunale di Bologna e poi del MAMbo. Per questo ho scelto gli artisti ma non le opere, portando ciascuno a riflettere sul tema della rappresentazione del loro lavoro. Invernomuto partecipa ad esempio con la prima opera e con la più recente; Elia Cantori ha scelto un’opera centrale nella sua produzione. Altri hanno prodotto opere ad hoc: io sono di “scuola Bonami”, quindi incoraggio la creazione di opere ad hoc».
Tra installazioni, video, fotografia, interventi sonori, sculture, performance, dipinti e opere su carta, in una mostra estesa al Giardino del Cavaticcio e al Cinema Lumière (oltre allo spazio virtuale sul profilo instagram del MAMbo), affiora così un’anagrafe «ragionata» della geografia degli artisti in Italia, «disegnata» da un curatore che con i suoi 35 anni ha il vantaggio della prossimità anagrafica con gli autori selezionati.
La più «vecchia» è Matilde Cassani (1980); la più giovane Guendalina Cerruti (1992). In catalogo, oltre a testi critici, una serie di interventi di artisti in forma di interviste (ad Alberto Garutti, Giulio Paolini, Giuseppe Penone e Michelangelo Pistoletto) e di opere realizzate dai partecipanti appositamente per il volume. Resta aperta una questione: se e quanto una linea italiana esista, congenita o indotta, negli autoctoni, nei migranti e negli «adottivi». Ma questo saranno le opere (forse) a dirlo.
La regina di Fluxus
Il MAMbo offre una seconda mostra. È dedicata a Rosanna Chiessi, scomparsa a 83 anni nel 2016, «regina» dell’avanguardia internazionale soprattutto relativamente a Fluxus ma anche a Poesia visiva, Azionismo viennese, Gutaï e arte performativa. La ospita la Project Room e la cura lo stesso Balbi in collaborazione con l’Archivio storico intitolato all’artista e la Biblioteca comunale Panizzi di Reggio Emilia.
«Rosanna Chiessi. Pari&Dispari», visibile fino al 16 settembre presso l’ex Forno del pane, documenta questa complessa personalità di collezionista, gallerista, mecenate e organizzatrice che, soprattutto dagli anni Settanta e Novanta, ha trasformato Reggio Emilia e la vicina Cavriago in un crocevia di correnti artistiche di eccezionale rilievo.
Di molti artisti, basti pensare ad esempio a Charlotte Moorman e Nam June Paik, la Chiessi ha spesso sostenuto le prime mostre e sperimentazioni, soprattutto viste in prospettiva partecipativa di condivisione con la comunità del territorio.
Il percorso si apre con il ritratto di Anne Tardos «Sunset for Rosanna», proprio a sottolineare il legame che la Chiessi stabiliva con i protagonisti via via incontrati. Sono poi presenti opere dei numerosi artisti da lei scoperti, seguiti, incontrati, sponsorizzati, «sollecitati»: Joseph Beuys, Philip Corner, Giuseppe Chiari, Joe Jones, Giuseppe Desiato, Al Hansen, Dick Higgins, Allan Kaprow, Alison Knowles, Urs Lüthi, Hermann Nitsch, Arnulf Rainer, Dieter Roth e Franco Vaccari.
In mostra anche alcuni oggetti simbolici: il grande tavolo da lavoro della casa-studio di Cavriago, la doppia chiave ideata come logo del suo archivio e casa editrice Pari&Dispari, un giubbotto firmato da Joseph Beuys, un paio di scarpe di Shozo Shimamoto e numerosi multipli, libri d’artista e fotografie.

Marco Giordano, Cutis, 2107, installazione site specific. Courtesy l'artista