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Federico Castelli Gattinara
Leggi i suoi articoliViterbo. L’avvenimento più atteso in città è la celebre Festa di Santa Rosa, patrimonio Unesco dal 2013, col trasporto il 3 settembre della «macchina» intitolata all’amatissima patrona, alta 28 metri e portata a spalla per le vie del centro storico da circa un centinaio di uomini, i cosiddetti «facchini di santa Rosa». Il trasporto ricorda la traslazione nel 1258 del corpo della santa viterbese al Santuario a lei dedicato, che per questa edizione della festa apre le porte esponendo per la prima volta, dal 2 settembre al 6 gennaio, il Tesoro di Santa Rosa: un insieme di manoscritti, documenti, dipinti, ceramiche e argenti sacri che ricostruiscono la vita della Santa e le vicende meno note del monastero delle Clarisse.
Quattro le aree tematiche in cui si articola la mostra, realizzata con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio guidata da Alfonsina Russo, il Comune di Viterbo e il supporto per i restauri della Fondazione Carivit: l’antico monastero e le decorazioni, le vicende e la canonizzazione di santa Rosa, la vita monastica, la devozione popolare. Si va dalla teca col corpo della giovane, ai dipinti più significativi, come la quattrocentesca Madonna del Latte realizzata su una tegola, un olio cinquecentesco con Sant'Orsola, il bozzetto di Marco Benefial concesso da Intesa San Paolo con «La prova del fuoco», le riproduzioni seicentesche ad acquerello di Sabatini degli affreschi perduti di Benozzo Gozzoli con la storia della Santa, e ancora i documenti relativi alla canonizzazione. Nel refettorio, oltre ai dipinti murali appena restaurati, sono esposti gli antichi Abadessati (documenti relativi alle varie Badesse), ceramiche e oreficerie antiche.

Ex voto in forma di caravella, argentiere nordeuropeo; fine secolo XVI - inizio secolo XVII

La Madonna del latte, affresco su laterizio, restauro finanziato dalla Fondazione Carivit
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