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Redazione GDA
Leggi i suoi articoliAlla recente mostra su Moroni alla Royal Academy di Londra si presentava un ritratto fin qui «unpublished» di uomo barbuto a mezzo busto su tela, indicato come proveniente da una generica «private collection». Nella scheda relativa (n. 24), si fornivano interessanti indicazioni sull’opera, che nel secondo Settecento si trovava nella ben nota quadreria bresciana del conte Faustino Lechi, segnalata al n. 324 dell’inventario con il corretto riferimento al Moroni. In una nota a margine dell’inventario si precisava, tuttavia, che il dipinto era stato rubato, ritrovato e quindi venduto a un certo «Pryor». Come rilevato in scheda, si trattava del merchant-amateur inglese Richard Vickris Pryor, nell’inventario della cui raccolta, al numero 128, in effetti si segnava un (sic) «Pietro Morone d’Albino. Ritratto di un uomo a mezzo busto, con la testa calva». Sempre nella scheda del catalogo londinese, si ricorda inoltre che «da una lettera scritta nel 1802 da Pryor al suo amico milanese Francesco Ciceri, sappiamo che di circa 234 dipinti trasferiti, gli eredi di Faustino Lechi desideravano riprendersi questo, che era particolarmente ammirato dal pittore neoclassico Andrea Appiani. I passaggi di proprietà che sono intervenuti tra questo trasferimento e la sua recente riapparizione sono sconosciuti». A questo riguardo si può aggiungere che il dipinto non uscì mai dall’Inghilterra. O per lo meno che vi si trovava ancora un paio di anni fa. Sporco e in non perfette condizioni, era presentato nelle sale di una piccola casa d’aste, Andrew Smith, a Winchester, nell’Hampshire, il 29 gennaio 2013 (lotto 7). Una delle tantissime aste che si tengono nelle province del countryside britannico, in un ambiente molto diverso da quelli ricercati e scintillanti di Sotheby’s e Christie’s. Perché, a dire il vero, il contesto assomigliava semmai a un granaio: non c’era riscaldamento e tutti gli oggetti erano ammassati contro le pareti, divisi sommariamente per tipologia. Sfortunatamente al «Barbarossa» era toccato il pavimento, forse a causa del basso numero di inventario e di una stima molto «conservativa», come si dice in Inghilterra, cioè 200-300 sterline. Come allora si presentasse, lo documentano alcune fotografie. Gli esperti della casa d’aste lo attribuivano a un anonimo di scuola inglese, forse suggestionati dal colore della barba... A qualcuno però il quadro non era sfuggito. Dai meandri del web fu adocchiato da un operatore locale e, si disse poi in sala, anche da una galleria milanese, che lo batté al telefono e che alla fine se lo riportò in Lombardia per 6mila sterline. Narrano i testimoni che quando il quadro fu aggiudicato, un garzone imbacuccato per il gran freddo andò subito a raccoglierlo e lo rinchiuse in un ufficio, perplesso per l’alta cifra raggiunta da un personaggio cosi poco attraente. Com’è noto, questo tipo di trouvailles non sono rare nel mercato dell’arte: anzi, la loro ricorrenza è il lievito che lo rende sempre vivo e attraente. Il caso però suggerisce almeno due considerazioni.
La prima è che il sistema di monitoraggio tramite il web di quel che appare all’asta a livello planetario forse non è ancora così perfezionato da far sì che tutto sia sotto effettivo controllo da parte degli operatori sul mercato (Winchester non è nel Burundi). La seconda è che, di certo, quell’opera fu comunque vista e considerata da un numero di possibili interessati ben superiore ai due che se la contesero: solo costoro, tuttavia (il secondo più del primo) seppero scommettere sulla paternità moroniana, dimostrata in mostra e riconosciuta dalle recensioni alla stessa (si veda quella di M. Wivel nell’ultimo numero del «Burlington Magazine»). Resta una curiosità, destinata, per quel che mi riguarda, a rimanere senza soluzione. Ma quale provenienza sarà stata dichiarata dal venditore all’attuale proprietario: dal reale fienile di Winchester o dall’immaginario, glorioso salone di chissà quale famiglia aristocratica, riluttante a cedere il gioiello di famiglia, per l’occasione opportunamente ripulito e imbellettato? Nota bene: dell’asta Andrew Smith, Winchester, 29 gennaio 2013, non esiste più il catalogo online.

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