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Tutti insieme a guardare nelle 45 casse di Ginevra

Federico Castelli Gattinara

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Presentate dopo annunci e ritardi le migliaia di reperti archeologici riconducibili all’antiquario Robin Symes. Forse eccessiva la stima di 9 milioni

Con l’Operazione «Antiche dimore» sono tornate a casa e finalmente sono state presentate le quarantacinque casse di reperti etruschi e romani rintracciate al Porto Franco di Ginevra nel 2014 e rientrate in patria lo scorso gennaio, riferibili all’antiquario inglese Robin Symes. È da tempo ormai che la collaborazione tra Italia e Svizzera dà frutti importanti, grazie a una serie di accordi, rogatorie e cooperazioni sempre più efficaci, e altri ancora ne darà in futuro, svelando magari nuovi meandri di quel pozzo di misteri che è il Porto Franco di Ginevra.

A presentare i reperti c’erano tutti i «big» coinvolti: il ministro Dario Franceschini, il generale Mariano Mossa che guida i Carabinieri del Tpc-Tutela Patrimonio Culturale, l’ambasciatore svizzero Giancarlo Kessler, il procuratore aggiunto della Repubblica di Roma Giancarlo Capaldo e la soprintendente per l’Etruria Meridionale Alfonsina Russo. Si tratta di svariate migliaia di pezzi, «nessuno falso» ha assicurato il generale Mossa, alcuni già riscontrati nelle celebri fotografie di Giacomo Medici sequestrate nel 1995 sempre al Porto Franco di Ginevra insieme a reperti e altro materiale. È il caso di due sarcofagi in tufo praticamente integri del VI secolo a.C. da Tuscania, con coperchi a forma di uomo e di donna sdraiati e tracce di colore, impressionanti quelle sul volto della donna. 

I pezzi rientrati datano tutti dal VII secolo a.C. al II secolo d.C. e provengono da scavi clandestini effettuati in Etruria meridionale, Sicilia, Puglia, Campania e Calabria, perlopiù negli anni Ottanta, come attestano i fogli di giornale rinvenuti all’interno delle casse. Ai due pezzi etruschi si affiancano un sarcofago romano, ceramiche spesso in frammenti con pittografie magistrali, lastre affrescate, elementi architettonici, statue e teste in marmo, decorazioni di un tempio e altro, per un valore complessivo stimato attorno ai nove milioni di euro: senz’altro uno dei recuperi più importanti degli ultimi decenni.

Un unicum sono i frammenti, che dovranno essere ricomposti, di lastre fittili dipinte provenienti da un tempio di Cerveteri, forse quello in località Vigna Marini Vitalini. Sono relativi a due fasi diverse, una attorno al 540 a.C. e una successiva di fine VI secolo a.C., riferibili a una o più botteghe di artigiani-artisti della Grecia orientale cacciati dalla pressione dei Persiani in Turchia e stabilitisi in Etruria meridionale. In Italia di queste lastre tipiche di Cerveteri non ne esistono che in frammenti: le uniche complete finora conosciute sono quelle «Boccanera» del British e le «Campana» del Louvre, entrambe però pertinenti a delle sepolture, non a un tempio. «È probabile, ipotizza Alfonsina Russo, che decorassero l’interno della cella», come dimostrerebbero i frammenti di decorazione architettonica fittile rinvenuti.

Non si è ancora stabilito che fine faranno i reperti. Forse alcuni finiranno al Museo di Villa Giulia, ma in gran parte ritorneranno nei loro territori di provenienza, come ribadito da Franceschini. Anche per i restauri è tutto da decidere, si partirà dai pezzi più importanti: la Russo, appoggiata subito da Franceschini, auspica la formula del «cantiere aperto». Il ministro coglie l’occasione per annunciare il progetto, d’intesa con l’Iscr, di un laboratorio di restauro sempre aperto nella chiesa sconsacrata di Santa Marta al Collegio Romano, i cui lavori sono quasi ultimati, dopo l’esperienza dell’anno scorso al Liceo Visconti proprio lì di fronte, con il restauro in aula magna de «La disputa di Gesù tra i dottori» di Luca Giordano dalla Galleria Corsini. 

Federico Castelli Gattinara, 06 aprile 2016 | © Riproduzione riservata

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