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Patrick Leigh Fermor

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Patrick Leigh Fermor

Slow travelling da Londra a Istanbul

In sette mesi Nick Hunt ha ripercorso l’itinerario del viaggio di Patrick Leigh Fermor del 1933

Marco Riccòmini

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Quando Patrick Leigh Fermor (1915-2011) lasciò questo mondo, «The Guardian» lo ricordò come «soldato, viaggiatore e scrittore». Secondo la migliore tradizione britannica, appena raggiunta la maggiore età partì per un lungo viaggio solitario. Ad attrarlo era allora Istanbul, porta dell’Oriente, che decise di raggiungere a piedi, viaggiando «come un vagabondo, un pellegrino o un chierico vagante». Il vapore lo sbarcò a Hoek van Holland, a circa 2.627 chilometri dal Corno d’Oro. Google Maps assicura oggi che quella distanza si può coprire a piedi in «sole» 538 ore, ossia poco più di 22 giorni (a patto, bene inteso, di non fermarsi mai).

Ma l’intrepido inglese non aveva fretta: il suo era un viaggio «di formazione». E così pure Nick Hunt, che nel dicembre 2011, 75 anni dopo «Paddy» (com’era chiamato dagli amici Patrick Leigh Fermor), si risolse a ripercorrerne le orme, impiegando sette mesi per raggiungere il Bosforo. Da quella lunga camminata attraverso Olanda, Germania, Austria, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Turchia, nasce Camminando fra i boschi e l’acqua. Dalla punta dell’Olanda al Corno d’Oro sulle tracce di Patrick Leigh Fermor, appena dato alle stampe da Neri Pozza (nell’encomiabile collana «Il cammello battriano» curata da Stefano Malatesta, Ndr).

Quello del giovane Hunt è per scelta un «viaggio senza mappe», come quello compiuto da Graham Greene in Liberia nel 1935. Senza mappe ma non senza internet, visto che i pernottamenti gli vengono offerti grazie alla rete di Couchsurfing, però i suggerimenti della rete si limitano a questo. Come Baedeker si affida, infatti, ai soli sgualciti testi di Leigh Fermor (pubblicati in Italia da Adelphi), che, in vista della meta, affida alla corrente del Danubio (metafora del distacco dal «padre»?). Dopotutto, il giovane inglese ha il fiuto dell’esploratore nel sangue («Hunt» significa «caccia») e indossa con agio i panni archetipici del viaggiatore in terre sconosciute.

E se «un viaggio fa bene alla salute, fisica e mentale», come dice il Profeta (e come gli ricorda un fedele di Maometto lungo la strada), la fatica accompagna la marcia di chi l’ha presa sottogamba (è il caso di dire), ossia senza previo allenamento. Partito con un paio di scarponi e sacco in spalla alla ricerca di che cosa fosse cambiato da quell’Europa distante ottant’anni, dopo una guerra ed epocali rivoluzioni politiche e sociali, il narratore scopre che, in fondo, nulla è davvero cambiato.

E se nei suoi appunti non vi è spazio per il turismo culturale, questi sono, invece, pieni di curiosità per «la storia ed esistenza di altre persone». Un manuale di «Slow Travelling», che ci mette voglia di metterci in cammino, sapendo che il viaggio sarebbe diverso per ognuno di noi. Specie per chi volesse tornare sui propri passi a distanza di anni perché, come direbbe Eraclito, «nessun uomo calpesta due volte la stessa strada».


Camminando fra i boschi e l’acqua. Dalla punta dell’Olanda al Corno d’Oro sulle tracce di Patrick Leigh Fermor, di Nick Hunt, traduzione di Laura Prandino, 368 pp., Neri Pozza, Vicenza 2020, € 19,00 
 

Marco Riccòmini, 30 aprile 2020 | © Riproduzione riservata

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