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Seta e macchine

Seta e macchine

Walter Guadagnini

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Prima retrospettiva italiana di Jakob Tuggener

Jakob Tuggener, chi era costui? La domanda manzoniana vale non solo per sottolineare la scarsa conoscenza che si ha di questo grande fotografo svizzero, ma anche la duplice natura del suo lavoro messa in rilievo dalla mostra che gli dedica il Mast, prima italiana organizzata con la Fondazione Jakob Tuggener e con la Fondazione Svizzera per la Fotografia (fino al 17 aprile, a cura di Martin Gasser e Urs Stahel). 

Nato a Zurigo nel 1904, studente a Berlino in tipografia e film nel 1930, rientrato in patria decide di dedicarsi alla fotografia come fotografo per l’industria. Sarà questa la sua attività primaria, almeno fino agli anni Sessanta, un’attività che trovò la sua sistemazione più organica nel volume Fabrik, edito nel 1943, in piena guerra mondiale. A questo versante dell’opera di Tuggener è dedicata la parte fotografica della mostra bolognese: 150 immagini che raccontano il rapporto tra i luoghi di lavoro e le persone che li vivono quotidianamente, il rapporto tra l’uomo e la macchina che ha segnato in maniera indelebile il XX secolo. Fabrik è uno dei volumi più significativi di questa storia, anche perché Tuggener riesce a far trasparire una velata critica al potere distruttivo della macchina quando essa viene utilizzata in assenza di regole morali, come stava avvenendo in quel momento nell’industria svizzera attiva nella produzione di materiale bellico.

Ma il fotografo presenta anche un’altra faccia, un Doppelgänger non meno significativo: nel 1934 Tuggener acquista una Leica, indossa uno smoking e inizia a frequentare i balli della società bene di Zurigo, riprendendo tutti gli aspetti di questo mondo esclusivo e ben poco incline al rendersi pubblico (tanto che il libro relativo verrà pubblicato solo nel 2005). Le immagini di questo splendido lavoro, scattate nelle sale del Grand Hotel Dolder a Zurigo, del Palace di Saint Moritz o dell’Opernball viennese, nel quale appaiono come protagonisti anche tutti coloro i quali permettono il funzionamento della macchina del divertimento, i cuochi, i camerieri, i musicisti, vengono presentate in mostra sotto forma di proiezione e rappresentano al meglio la duplice via perseguita dal fotografo. 

Anche dal punto di vista stilistico i due lavori sono profondamente diversi: composto con estrema cura, attento all’equilibrio formale attraverso la costruzione dell’immagine secondo i canoni della fotografia documentaria e della «nuova visione» quello sulle fabbriche, molto più libero, quasi giornalistico, sulla scorta della lezione di Salomon e dei grandi fotoreporter del tempo, quello sul ballo, dove la società bene riceve un trattamento ben diverso da quello che Tuggener riservava ai lavoratori. 
Si tratta di fotografie nelle quali la velocità di ripresa coglie il soggetto impreparato, lo estrae dalla sua immagine pubblica, sempre controllata, per svelarne gli aspetti più banali, talvolta umoristici e persino grotteschi: immagini di grande forza, che sembrano preludere a quelle di due grandi fotografi statunitensi, Garry Winogrand e Larry Fink, che su questo soggetto e su tali premesse avrebbero costruito in seguito una parte importante della loro poetica.

Le «Notti di ballo» (è il titolo di questa sezione della mostra), che si dipanano tra la metà degli anni Trenta e il 1950, contribuiscono dunque in maniera decisiva a disegnare la personalità del fotografo, che non a caso diceva di se stesso «Seta e Macchine, questo è Tuggener», e che nel corso della sua lunga esistenza (morirà a Zurigo nel 1988) si dedicherà anche alla pittura, alla realizzazione di film e cortometraggi, e sarà, con Werner Bischof e Gotthard Schuh, uno dei fondatori del «collegio dei fotografi svizzeri».

 

Walter Guadagnini, 10 febbraio 2016 | © Riproduzione riservata

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