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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliForte Belvedere, tornato a esser sede di mostre importanti, ospita dal 26 aprile fino al 27 settembre Antony Gormley, con un progetto sotto la direzione artistica di Sergio Risaliti e a cura di Arabella Natalini e Sergio Risaliti. La mostra riunisce un centinaio di opere del maestro britannico (1950), già noto in Toscana per le mostre alla Galleria Continua e la sua partecipazione a «Tuscia Electa», la manifestazione curata dalla stessa Natalini. Proseguendo la sua ricerca incentrata sul corpo umano quale architettura e luogo della mente, Gormley dissemina cento figure umane in scala 1:1 nelle stanze interne della palazzina, sui bastioni, sulle scalinate e le terrazze su tutti i lati del Belvedere. Alcune realizzate per la mostra, altre precedenti ma ripensate per il luogo, le opere sono allestite in una collocazione che Gormley definisce «attenta e giudiziosa», ma anche «destabilizzante». Lo si vede nell’installazione «Critical Mass», del 1995, «un antimonumento che evoca tutte le vittime del XX secolo»: pensato per un vecchio deposito di tram a Vienna, e ricollocato in un luogo di difesa fiorentino, il monumento si arricchisce di un riferimento legato al contesto italiano, quello dell’entrata in guerra e poi della liberazione. A dialogare con quei corpi, creati mediante un processo tradizionale come il calco in silicone, sono poste le «Blockworks», nuove opere in cui l’anatomia umana è resa attraverso volumi architettonici, ma il corpo è restituito attraverso una scansione digitale, rielaborata poi al computer. Ma, come nota Arabella Natalini, quelle opere non sono prive di «un aspetto vitale ed empatico molto forte, poiché l’intento di Gormley è proprio sempre quello di attivare la percezione dello spazio», coinvolgendo l’attenzione dei visitatori nel loro peregrinare, rendendoli ben consci di dove sono posti i loro piedi. Gormley dice infatti di aver voluto aprire il Forte Belvedere «attraverso l’agopuntura scultorea». E se la spinta a «vedere in profondità le cose» è alimentata nell’artista dalla meditazione Vipassana, di matrice buddista, egli instaura uno stretto rapporto con la tradizione della scultura, maestra nell’indicare le relazioni tra l’universo e le dimensioni più «terrestri» della città, della natura e del paesaggio. «Abbiamo pensato a Gormley, spiega Risaliti, in quanto artista modernista che supera il postmoderno riallacciandosi all’umanesimo in termini anche critici, e da qui il titolo della mostra “Human”. Questa reintepretazione dell’architettura in una chiave tra modernismo e tradizione, tra astrazione e figuratività è veramente importante. Insomma, quest’anno il padiglione inglese della Biennale di Venezia è a Firenze».
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