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Redazione GDA
Leggi i suoi articoliLondra. La pittrice statunitense Agnes Martin (1912-2004) viene spesso definita minimalista. In effetti le sue opere più conosciute, delicate griglie dai colori pastello, si prestano all’accostamento con il lavoro di artisti come Donald Judd. Ma la Martin ha sempre sostenuto che i suoi quadri avevano uno spirito molto diverso, prendendo così le distanze dall’intellettualismo a favore di una dimensione personale e spirituale. «Senza la consapevolezza della bellezza, dell’innocenza e della felicità, e senza la felicità stessa, non si possono fare opere d’arte», scrisse. Una sua retrospettiva aperta alla Tate Modern dal 3 giugno all’11 ottobre, la prima di grandi dimensioni dopo la scomparsa dell’artista, è divisa in due periodi distinti. La mostra ripercorre la vicenda di Agnes Martin dagli esordi negli anni ’50 e segue la sua produzione dal 1973 in poi, quando lasciò New York. I suoi primi lavori, come «The Garden» (1958), rivelano il suo interesse per gli oggetti trovati e le forme geometriche. Nel 1967, quando la sua pittura iniziava ad attirare l’interesse dei critici, la Martin smise di lavorare e abbandonò il mondo dell’arte newyorkese. Passò i due anni successivi viaggiando attraverso il Nordamerica, prima di stabilirsi a Santa Fe, in New Mexico. Nel 1973 riprese a dipingere e realizzò «On a Clear Day», una serie di trenta serigrafie monocrome. Opere successive, come «Untitled #5» (1998) e «Happy Holiday» (1999), sono ancora caratterizzate dalla composizione a griglia quadrettata. La rassegna, curata da Frances Morris e Tiffany Bell, segue in gran parte un percorso cronologico, alternato a un approccio tematico. Una sala, ad esempio, propone una piccola retrospettiva di disegni, mentre in un’altra sono esposte opere sperimentali degli anni ’50-60, quando l’artista utilizzava un insieme di motivi e materiali trovati. La mostra ha richiesto una preparazione di due anni e mezzo. «Si tratta di un evento unico, dato l’alto numero di prestiti straordinari mai visti prima in pubblico a causa della fragilità delle opere», sottolinea la Morris. Dal 7 novembre al 6 marzo 2016 la retrospettiva farà tappa al K20 di Düsseldorf e poi al Los Angeles County Museum of Art e al Guggenheim Museum di New York.
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