Marta Paraventi
Leggi i suoi articoliI Piceni, popolazione insediata nelle Marche in epoca preromana, il cui etnonimo è entrato nell’uso moderno, soppiantando l’originario Picenti tramandato dalle fonti letterarie antiche, sono fin dal XIX secolo e per tutto il XX, oggetto di studi e mostre (celebre quella a Francoforte sul Meno del 1999). Archeologi e studiosi italiani e stranieri di quest’antica civiltà sono stati poi di nuovo riuniti ad Ancona nel 2019 in un grande convegno per mettere a punto lo stato attuale degli studi: gli atti sono stati ora editati da Quasar in un doppio volume, Archeologia Picena a cura di Nicoletta Frapiccini della Direzione Regionale Musei Marche e Alessandro Naso dell’Università di Napoli Federico II (817 pp., fig. b/n e col., Roma 2022, € 80), finanziato dalla Direzione Regionale dei Musei delle Marche, presieduta dal direttore Luigi Gallo, e dall’associazione Le Cento Città.
L’opera monumentale, di 800 pagine, viene presentata il 12 maggio (ore 16.30) ad Ancona presso la Facoltà di Economia dell’Università di Ancona (Caserma Villarey) alla presenza di Giuseppe Sassatelli e Adriano Maggiani, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’Istituto Nazionale di Studi Etruschi e Italici.
Sono ben 48 i saggi che compongono il doppio volume e che rinnovano in modo profondo il quadro complessivo delle conoscenze generali sull’archeologia delle Marche in epoca protostorica e preromana. Spicca l’interesse per il grande centro di Fermo, espressione in loco di un «network» villanoviano costruito dalle grandi comunità protourbane dell’Etruria, la cui «picenizzazione» si attesta a partire dalla fine dell’VIII secolo a.C.; per nuove necropoli oggetto di recentissimi scavi come Moie (Pollenza), Casine di Paterno (Ancona), Serravalle di Chienti, Corinaldo dove il corredo di una tomba rivela il rango principesco del personaggio celebrato.
Gli studi della necropoli di Monte Penna di Pitino (S. Severino Marche) ricchi di corredi femminili, confermano il forte ruolo rivestito dalle donne nella società picena, già emerso, ad esempio, con la nota Tomba della Regina di Sirolo (Numana, Museo Archeologico Statale) di cui si riportano ulteriori analisi; quelli su Belmonte Piceno rivelano che nel VI secolo a.C. era il centro più importante dell’Italia adriatica per la lavorazione e lo smistamento dell’ambra baltica verso i centri della Magna Grecia, l’Appennino, le grandi citta etrusche e probabilmente non sono da escludere contatti anche con la cultura hallstattiana. Alcuni saggi si concentrano infine sull’analisi dei manufatti (le fibule in ambra, l’origine degli elmi cosiddetti di Montefortino, i «calderoni» ricondotti alla cultura celtica) e su indagini sul territorio come quelle sul sito rituale di sommità di Monte Primo (Pioraco) e l’area della Valle del Potenza.
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