Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Walter Guadagnini
Leggi i suoi articoliÈ una vera e propria rivelazione, la grande mostra a cura di Urs Stahel che il Mast dedica a Emil Otto Hoppé, uno dei maggiori, ma più misteriosi, fotografi della prima metà del Novecento («Emil Otto Hoppé: svelando un segreto. Fotografie di industria, 1912-1937», dal 21 gennaio al 3 maggio).
Tedesco di origine e inglese di fatto, nato nel 1878 e scomparso nel 1972, Hoppé ha goduto di un’ottima fama in vita, ma dopo avere ceduto le sue immagini a un archivio londinese poco prima di morire è caduto in un dimenticatoio dal quale è stato estratto grazie al lavoro svolto negli anni Novanta dall’agenzia statunitense di servizi museali Curatorial Assistence Inc. di Pasadena.
Catalogata e digitalizzata, oggi l’immensa produzione di Hoppé rivela la statura di uno dei più grandi ritrattisti degli anni Venti e Trenta, capace di fotografare personalità politiche e personaggi dello spettacolo in Inghilterra e in ogni parte del mondo (ivi compresi le glorie locali Marinetti e Mussolini), prima di dedicarsi a quello che è il nucleo della mostra odierna, composta di oltre 200 fotografie, vale a dire la ricognizione e la documentazione del nuovo panorama industriale creatosi nei primi decenni del XX secolo.
Hoppé riprende le fabbriche in tutto il mondo, convinto che questi luoghi incarnino la natura più profonda della società contemporanea e che segnino uno dei grandi mutamenti epocali della storia dell’umanità. Così, nel 1930 il fotografo dà alla luce un libro straordinario, Deutsche Arbeit (Il lavoro tedesco), nel quale racconta non solo le architetture e le forme degli edifici e delle macchine, i progressi della scienza applicata all’industria, la nascita di un uomo nuovo e di una nuova modalità ed etica del lavoro, ma anche i luoghi dove si sta formando il più grande arsenale del mondo, dove si sta preparando la macchina da guerra hitleriana.
È su questo drammatico paradosso che si è infranta la mitologia dell’età della macchina, al termine dei ruggenti anni Venti con la crisi economica e al termine degli anni Trenta con l’inizio del conflitto; una mitologia che Hoppé ha contribuito a creare insieme ad altri grandi protagonisti di questa stagione, da François Kollar a Lewis Hine ai tanti fotografi che esaltavano le «magnifiche sorti e progressive» delle neonate Repubbliche Sovietiche.
Un sogno interrotto drammaticamente, ma che nulla toglie alla qualità e al fascino di queste immagini. Si conferma la correttezza della scelta del Mast di ritagliarsi uno spazio di ricerca preciso all’interno del quale dar vita a operazioni di grande spessore culturale.
Altri articoli dell'autore
L’Intelligenza Artificiale ha dominato il 2023, ma milioni di bravi ritoccatori hanno per decenni aiutato dittatori e impostori vari
Nel suo libro l’artista romano offre una lettura fotografica dell’opera dello scultore sardo
Dopo un 2021 ancora di transizione, l’unico dato di vero e indiscutibile rilievo è la valanga di esposizioni dedicate alle donne fotografe, cui ora si aggiungono i quesiti riguardanti i reportage di guerra
Due volumi analizzano da diversi punti di vista il rapporto tra fotografia e letteratura