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Graziella Melania Geraci
Leggi i suoi articoliNew York. Fino al 10 aprile il New Museum di New York ospita la prima e più completa retrospettiva di Anri Sala. Partendo dai primi video della fine degli anni Novanta, il percorso artistico si dipana su tre piani del museo tra video e installazioni mostrando l’evoluzione stilistica e linguistica dell’artista albanese che con l’architettura che ospita l’esposizione costruisce un discorso simile a una sinfonia musicale.
La mostra, curata da Massimiliano Gioni con Margot Norton e Natalie Bell, si sviluppa attraverso le opere che hanno reso famoso l’artista partendo dalle prime esperienze dall’estetica documentaristica, come «Intervista» del 1998, fino alle opere più recenti. Nella poetica di Anri Sala il lavoro sulla memoria, sugli archivi, sul suono e sul linguaggio accompagnano il recupero della storia che ritorna dal passato per rivivere anche attraverso gli edifici, le stanze vuote e i quartieri abbandonati.
Così nei video «The Present Moment» (2014), al secondo piano del New Museum, la musica del compositore austriaco Arnold Schoenberg, definito artista degenerato dai nazisti, risuona proprio nel monumento elevato per celebrare la purezza e la perfezione dell’ideologia nazista, la Haus der Kunst di Monaco di Baviera in una specie di capovolgimento storico che riporta in vita i fantasmi di una tragedia.
Al terzo piano le architetture di Tirana diventano, in «Dammi i colori», i veicoli per descrivere le trasformazioni dopo la caduta della dittatura comunista, la testimonianza del crollo di un’utopia. Anche in «Long Sorrow» (2005) e in «Answer Me» (2008) la musica diventa la colonna sonora del fallimento, un requiem che riecheggia e si amplifica nelle architetture circostanti.
Non sempre nei video la musica si manifesta come un strumento acustico uniforme, Anri Sala si serve anche delle distonie e del fuori sincrono per pungolare e suscitare riflessioni come in «The Clash» e in «Ravel Ravel» (2013), dove l’introduzione di differenti esecuzioni della stessa composizione produce un disagio che narra del passato e della memoria.

Anri Sala, «Ravel Ravel», 2013. Veduta dell'installazione «Ravel Ravel Unravel», Padiglione francese, 55ma Biennale di Venezia. Foto: Marc Domage
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