Edek Osser
Leggi i suoi articoliRoma. La riforma del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo (Mibact), come era previsto (cfr. n. 350, feb. ’15, p. 1), è un vero terremoto che ha destabilizzato l’assetto del Ministero e i suoi stessi obiettivi. La situazione è ancora confusa di fronte a compiti del tutto nuovi, resi più gravosi dalla ormai consueta, grave carenza di risorse umane e finanziarie.
Il primo compito affidato alla neonata struttura è di capire che il ministro Dario Franceschini ha voluto cambiare l’orizzonte, cioè la stessa «mission» del Ministero dei Beni culturali. La sua riforma risponde alle necessità di risparmio della spending review, ma punta soprattutto alla «valorizzazione» come occasione di «sviluppo diffuso» anche per avvicinare il patrimonio culturale al turismo, e per conquistare al Ministero, gravemente impoverito, altre risorse, private e del volontariato. Il rischio, ampiamente segnalato, è di indebolire la sua funzione di conservazione e tutela, affidata alle Soprintendenze archeologiche e archivistiche e a quelle miste, Belle Arti e Paesaggio, separate dai Poli museali regionali, dedicati alla valorizzazione. Per la tutela, la scommessa è anche quella di snellire le procedure burocratiche, oggi davvero pesanti.
Cambia del tutto il regime dei musei, non soltanto dei venti maggiori, autonomi e con nuovi direttori dai grandi poteri, ma anche dei più piccoli, ai quali si richiedono comunque iniziativa e indipendenza. Per questi però viene interrotto il loro legame con il territorio, ora di competenza delle Soprintendenze. I direttori dei Poli regionali dovrebbero puntare a nuove sinergie, creare «sistemi museali integrati» dialogando con Regioni, Comuni e privati, «aprire un rapporto con le categorie imprenditoriali» che adesso manca. Insomma costruire una politica della valorizzazione.
Nomine ancora in corso
Compiti complessi e assai ambiziosi, che dovrebbero spettare a una struttura dirigenziale appena nata che dispone di organici (funzionari, tecnici, personale d’ordine) da tempo molto al di sotto delle necessità. Il primo passo è stato quello delle nomine nel cuore del Ministero, con i direttori generali e i loro Servizi. Poi, il 17 marzo, sono arrivate quelle degli oltre cento dirigenti periferici di «seconda fascia» (cfr. box a p. 12, con l’elenco dei nomi e i relativi incarichi, con ancora qualche lacuna al momento di andare in stampa). Mancano però venti nomi importanti, quelli dei super-direttori a capo dei 20 musei e dei siti archeologici più prestigiosi del Paese, per i quali si aspetta l’esito del bando internazionale: la decisione non avverrà prima di giugno e sarà decisa da una Commissione costituita ad hoc. Dovrà scegliere tra oltre 1.200 candidati, compresi 80 dall’estero (cfr. lo scorso numero, p. 2). Restano ancora scoperte alcune Soprintendenze e Segretariati regionali. Infatti, in risposta all’«interpello» del Ministero che chiedeva ai candidati di indicare ruoli e città preferite, la scelta dei dirigenti si è concentrata su alcuni luoghi (per Roma le domande pare siano alcune centinaia), mentre altre sedi sono state ignorate. Tra poco l’intera struttura di vertice sarà comunque completata, ma la riforma non potrà decollare in breve tempo. Basta pensare che, per rispettare il principio della «rotazione degli incarichi», la maggior parte dei dirigenti ha cambiato sede, a volte in città e regioni che non ha scelto, con accanto nuovi collaboratori e di fronte a problemi inediti. Oltre ai grandi interrogativi di sistema, sono emersi una serie di inconvenienti pratici, non previsti, che hanno generato confusione e proteste.
Dubbi e incongruenze
Poco chiara la gestione del personale delle sedi, ancora diviso secondo il vecchio schema e con organici sempre insufficienti. La nuova organizzazione prevede una moltiplicazione di funzioni, alcune prima non richieste (marketing ecc.) Il personale andrebbe comunque suddiviso tra Polo museale, Segretariato regionale (che eredita quello della vecchia Direzione regionale), Archeologia e Soprintendenze miste: ma con quali criteri? Anche questi dipendenti forse potranno scegliere, ma mancano direttive. E poi, chi decide, in questa fase, di ogni necessità (permessi, missioni, malattie, ecc.) del personale? Chi tratta le questioni sindacali? Con la migrazione del personale da un ufficio all’altro (spesso da un edificio a un altro lontano) ciascuno dovrebbe portarsi armadi, archivi, computer ecc. A chi spetta questo compito? E gli archivi specialistici, vanno forse divisi tra le diverse strutture (Soprintendenze e Polo) contro un ovvio criterio di unità interdisciplinare? E i depositi, come le opere mai esposte, a chi spettano? Alle Soprintendenze Belle Arti-Paesaggio, Archeologica o al Polo museale? E le opere che appartengono ai grandi musei ma esposte stabilmente in quelli che ora dipendono dai Poli, che destino avranno tra le due strutture? E se rimarranno nella loro sede, servirà per ciascuna un comodato?
Si stanno già creando conflitti in diverse regioni per le incertezze sulla gestione dei beni archeologici, quelli nei musei, nei depositi e quelli non esposti. Chi ne può disporre? Il soprintendente archeologo, titolare degli scavi, o il direttore del Polo da cui dipende il museo? Una miriade di piccole/grandi questioni per le quali non solo mancano risposte, ma si determinano tensioni, caos e paralisi.
Un struttura troppo fragile
Preso atto della situazione, il segretario generale Antonia Pasqua Recchia ha scritto una circolare interna, datata 18 marzo 2015, assai preoccupata e decisa. «Spiace constatare, scrive, che alcuni dirigenti lungi dall’assumere comportamenti collaborativi, volti al superamento degli inevitabili problemi, stiano invece operando in modo del tutto disarmonico creando situazioni conflittuali», sia nella logistica sia «con conseguenze ben più gravi, nel merito del personale» che, nota la Recchia, è già «fortemente disorientato dai cambiamenti in atto». Quindi preannuncia entro aprile una «ricognizione» con i dirigenti in tutte le regioni per risolvere questi problemi.
La riforma è una grande scommessa. La sua novità, le sue incongruenze, la sua complessità pesano su un organismo davvero molto fragile.
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