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Redazione GDA
Leggi i suoi articoliVi è una contesa sofferta, nella città che patisce la mancata ricostruzione del centro storico, intorno a Porta Barete (o porta di Lavareto): si polemizza intorno a questa costruzione di fine ’200-inizio ’300 eletta a «luogo del cuore» dal Fondo Ambiente Italiano (Fai) con ben 11.518 voti raccolti in tutto lo Stivale per liberarla da una sorta di soffocamento edilizio.
Adiacente alla porta lungo le mura angioine, di fatto chiusa, c’era un condominio demolito per i danni subiti dal sisma del 2009; nel cantiere per ricostruirlo spuntano reperti archeologici tra cui una testa leonina di epoca romana. Il Comune vuole riedificare il palazzo più in là così da staccarlo dalle mura, dare respiro alla Porta e liberare la zona da edifici giudicati in conflitto con un piano di riqualificazione. Gli abitanti trattano ma non quelli del numero civico 207. In autunno l’ex direttore regionale ai beni culturali Francesco Scoppola mette un vincolo sulla Porta che il Tar del Lazio sospende, dopo un ricorso, perché notificato al rappresentante del condominio e non ai singoli proprietari. Decolla una campagna d’opinione.
I residenti del 207 alla stampa riferiscono di sentirsi come «perseguitati» da chi sa che «Porta Barete non esiste più ma si guarda bene dal dirlo». Il presidente di Italia Nostra aquilana Paolo Muzi in una lettera al ministro Franceschini e altri invocano misure più ampie: «La Soprintendenza metta un vincolo di inedificabilità assoluta su Porta Barete e aree analoghe e uno paesaggistico su tutta la città. Altre soluzioni sarebbero palliativi». Costanza Pratesi del Fai, d’intesa con la delegata locale Enza Turco, confida che una soluzione sia raggiungibile: «Il progetto per riqualificare il quartiere illumina gli occhi. Con l’appoggio della Soprintendenza il Comune negozia seriamente e si farebbe carico del costo dello spostamento dell’edificio. Ridare una casa migliore a quei condomini, il cui disagio è pienamente comprensibile, e salvare l’area archeologica? Si può».
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