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Il minotauro gentiluomo

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Redazione GDA

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L’editore Franco Maria Ricci annuncia per il prossimo maggio l’apertura al pubblico del Labirinto della Masone. Si tratta di un complesso di edifici e di spazi racchiusi in un dedalo di piante di bambù; vi sono conservate la collezione d’arte e la biblioteca del padrone di casa e vi ha sede la casa editrice. Non mancano un bookshop, un ristorante e un bistrot. Il Labirinto, che sorge presso Fontanellato nel parmense, è il coronamento di un sogno a lungo coltivato da uno dei più raffinati editori mondiali e, insieme, è un omaggio allo scrittore Jorge Luis Borges, autentico cultore di questa tipologia architettonica, con il quale Ricci intrattenne un lungo sodalizio. Vi hanno lavorato gli architetti Davide Dutto per la parte paesaggistica e Pier Carlo Bontempi per le opere murarie. Franco Maria Ricci presenta la sua «creatura» in un libro («Labirinto della Masone. Bambù, arte e delizie nel parco di Franco Maria Ricci a Fontanellato», Ricci editore/Grafiche Step) da cui sono tratti il brano e le fotografie qui pubblicati. Al testo dell’editore si affiancano quelli di Vittorio Sgarbi e Corrado Mingardi, Giovanni Mariotti e Antonio Fernández Ferrer.

A lungo la cosa che chiamo Labirinto è stata un fantasma mentale, un progetto solitario e un po’ dubbioso; oggi è un conglomerato di vegetazione e di costruzioni, di libri e di opere d’arte, di punti di ristoro, d’incontro e di festeggiamento, ancora serrato come una conchiglia nelle sue valve, ma già impaziente di mostrarsi, di accogliere, di ospitare. Dio volendo, in un giorno della primavera 2015 aprirò ai visitatori il cancello del mio Labirinto. Nello stesso periodo a Milano verrà inaugurata l’Expo. (...) I loro Padiglioni si sforzeranno di rappresentare il genio e l’operosità di milioni d’individui; l’ambizione del mio Padiglione è più limitata: offrire ai visitatori la possibilità di condividere le creazioni e le passioni di un singolo, anche se il Labirinto non avrà niente di privato, sarà, come ho già detto, un luogo d’incontro, una piazza, uno spazio sociale, dove i visitatori avranno la possibilità di scegliere fra molte opportunità e godranno di un’accoglienza premurosa e discreta.

Altra differenza: i Padiglioni nazionali saranno a termine, dureranno sei mesi; il mio Padiglione invece persisterà, conservando i miei libri, la mia collezione d’arte e promuovendo molte attività (mostre, concerti, spettacoli, proiezioni...) che, per intenderci, mi rassegno a chiamare culturali (aggettivo vago, di cui oggi si abusa). Negli anni ho collezionato maniacalmente i libri stampati del grande Bodoni, «il Principe dei Tipografi e il Tipografo dei Principi», come lo definirono i suoi contemporanei. Bodoni è il mio vero Maestro (...). In oltre quarant’anni di ricerche e di acquisti ho messo insieme la più cospicua raccolta privata delle sue edizioni: oltre 1.200 volumi, molti dei quali dalle belle legature in marocchino, con le armi dei duchi di Parma, di Eugenio di Beauharnais, di Alberto di Sassonia, di Maria Luigia, Imperatrice dei francesi prima, amata Duchessa di Parma poi... Oltre alle opere di Bodoni, nel Labirinto saranno esposte tutte le mie edizioni e quelle di un altro esponente importante della bibliofilia italiana, Alberto Tallone.

Quanto alla ricca biblioteca interna della casa editrice (circa 15mila volumi di storia dell’arte) sarà a disposizione non solo dei collaboratori, ma anche di chiunque, studioso o appassionato, chieda di consultarla. (...) Opere di grandi artisti coabitano con altre di artisti minori o popolari. Qua e là si formano addensamenti intorno a un periodo, a un genere, a una sensibilità. Molte le sculture riferibili al Settecento e all’Impero: opere di Houdon, Lemoyne, Caffiéri, Boudard, Collot, Chinard, tutti artisti dell’era dei Lumi... poi, quando il neoclassico entra nell’orbita napoleonica (quindi bodoniana), ecco i busti della brulicante famiglia Bonaparte, firmati Bosio, Bartolini, Ceracchi, Fontana, Thorvaldsen, Chaudet... Un passo indietro, nel tempo: all’ottimismo rivoluzionario e alle glorie napoleoniche fanno da controcanto le mie Vanitas, nature morte con teschio, spesso granghignolesche, qualche volta opera di artisti famosi, come Jacopo Ligozzi. Non mancano i manieristi (Ludovico Carracci, Girolamo Mazzola Bedoli, Luca Cambiaso...), né la grande scultura del Seicento (Bernini, Foggini, Merlini...), né artisti legati agli anni d’oro del ducato di Parma (Julien de Parme, Boudard, Baldrighi, Ferrari, Petitot...), né la pittura romantica e popolare dell’Ottocento (Hayez, il Piccio, Fabris...). Infine, a documentare i miei accostamenti al Novecento, le opere di Adolfo Wildt, di Ligabue, di Libero Andreotti, di Corcos, di Savinio, di Erté, o le cosiddette crisoelefantine, piccole statue da salotto di Chiparus e di altri artisti Déco. (...)

I compiti principali della fondazione sono due: uno, quello di conservare i miei libri, la mia collezione d’arte, promuovere le (numerose) attività culturali del Labirinto, per quanto possibile mantenendo fede all’ispirazione originaria. Il secondo, cui tengo moltissimo, è di carattere paesaggistico e botanico e tratta del restauro del paesaggio. (...) La pianta tradizionale dei labirinti è il bosso; anch’io forse l’avrei usato, se fossi stato più giovane; ma il bosso cresce lentamente, mentre il bambù è velocissimo. L’età mi ha fatto innamorare di questa pianta meravigliosa, che è uno dei molti doni dell’Oriente (e oggi anche il nome di uno dei miei cani). Se i bambù (il mio parco ne conta venticinque specie diverse: alcuni piccoli e altri che raggiungono i quindici metri, verdi, o gialli, o neri...) sono cresciuti così rigogliosi è forse perché respirano bene, a poca distanza da un fiume il cui nome profuma di Cina: il Po.

Redazione GDA, 18 febbraio 2015 | © Riproduzione riservata

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