Image

«Autoritratto» (1562 ca), di Tiziano (particolare). © Staatliche Museen, Gemäldegalerie, Berlino

Image

«Autoritratto» (1562 ca), di Tiziano (particolare). © Staatliche Museen, Gemäldegalerie, Berlino

Il libro | Tiziano | Un monumento unico

I PREMIATI 2023 DEL GIORNALE DELL’ARTE | Pubblicati in sei tomi tutti i documenti noti: un’imponente opera di Charles Hope

Bernard Aikema

Leggi i suoi articoli

I nostri sono tempi veloci, anche per chi pratica la storia dell’arte. Una scadenza segue l’altra a ritmi sostenuti, e progetti di ricerca, anche complicati ed impegnativi, raramente hanno una durata che supera i cinque anni. Che dire, allora, di un’impresa di ricerca che ha impiegato più di cinquant’anni per arrivare alla conclusione; un progetto, per di più, portato avanti fin dall’inizio da una persona sola, inizialmente agevolato sì da vari «grant» e finanziamenti, ma senza il continuo appoggio di un team collaudato di collaboratori, assistenti pagati ed altri benefici di un sostegno «istituzionale» garantito. Il caso è (quasi) unico, e già per questo motivo merita tutta la nostra attenzione, ma anche, e soprattutto, per l’importanza del tema.

Parliamo del Corpus diplomaticum di Tiziano Vecellio, l’immensa fatica di Charles Hope, che è da considerare una pietra miliare non solo della bibliografia tizianesca, ma in generale dello studio del Rinascimento italiano ed europeo. Cerchiamo di cogliere la dimensione storiografica ed epistemologica di questa megapubblicazione, il «life work» dell’ex direttore del Warburg Institute dell’Università di Londra. Intanto notiamo che il corpus si presenta in ben sei volumi, coprendo un totale di non meno di 3mila (!) pagine, offerti al lettore nell’impeccabile vesta editoriale curata dalla raffinata casa editrice inglese di Paul Holberton. Fondamentale per la realizzazione di questo opus magnum è stato il sostegno del «Burlington Magazine» e della Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore, dal 2003 impegnata nella promozione delle ricerche sul pittore cadorino.

Nella breve e piuttosto laconica nota editoriale, a pagina LXXXII del primo volume introduttivo, si legge quali sono gli obiettivi dell’impresa. Ne vale la pena citare l’incipit estesamente: «I testi […] comprendono, per quanto possibile, tutti i documenti e tutti i riferimenti in stampa a Tiziano, i suoi genitori, fratelli e figli databili ai tempi delle loro rispettive vite, e anche tutti i riferimenti agli assistenti più stretti, Girolamo Dente e Emanuel Amberger, e agli altri pittori della famiglia Vecellio già attivi prima della morte di Tiziano, vale a dire Fabrizio, Marco e Cesare». Inoltre vengono registrati e pubblicati i testi a stampa di epoca posteriore che contengono materiali aneddotici su Tiziano, dal Borghini (1584) al Boschini, in pieno Seicento (1660, 1664, 1674).

Le voci si presentano, come da aspettarsi, in ordine cronologico, e sono fornite da commenti, sempre puntuali, a volte sostanziosi ed impegnativi, che si trovano aggiunti ad ogni singolo articolo. Due apparati, una bibliografia nutrita, di quasi 2mila voci, e un indice elaborato, che registra le persone ed opere d’arte citate, sono strumenti indispensabili per l’uso dell’opera. Tutto chiaro, tutto secondo la norma consueta per questo tipo di pubblicazioni.

Nella sua dimensione quantitativa (e, magari, anche geografica, ci torneremo), il Corpus diplomaticum tizianesco supera ogni altra raccolta del genere, ma in termini di metodo si inserisce in una tradizione, risalente al XIX secolo, di rendere disponibili «tutti» i documenti reperibili sulla «vita e le opere» di un singolo artista di rilievo. Un classico esempio sono gli Urkunden über Rembrandt, pubblicati nel 1906 da Cornelius Hofstede de Groot, seguiti, nel 1979, da The Rembrandt Documents, curati da Walter StraussMarjon van der Meulen; un altro è la recente edizione, a cura di Stefania Macioce, dei Documenti, fonti e inventari di Caravaggio, che copre un periodo molto ampio, dal 1513 al 1883 (terza edizione ampliata del 2023).

Ma i Sources and Documents tizianeschi vanno per forza confrontati con un’altra pubblicazione, pietra altrettanto miliare negli studi dell’arte rinascimentale: Raphael in Early Modern Sources, curata da John Shearman nel 2003; pure quella il lavoro di una persona sola, realizzata attraverso un lungo arco di tempo (30 anni in questo caso). Tutte e due le raccolte documentarie sono a firma di studiosi inglesi, autorevoli esponenti della cultura di sano pragmatismo che da sempre ha contrassegnato nel bene (e a volte, bisogna dirlo, nel male) la storiografia anglosassone. Infatti hanno molto in comune le impostazioni e la tipologia dei commenti dei Raphael e dei Titian documents.

Diversi sono invece i documenti, non solo (ed è ovvio) nei loro rispettivi contesti, ma anche nella loro sostanza. Intanto notiamo che, laddove mancano quasi completamente documenti personali (lettere, notizie ed altro) dell’Urbinate, Tiziano ne ha lasciato invece una quantità considerevole, fra missive ai suoi committenti e clienti a messaggi di vari tipi ai famigliari (o viceversa dei famigliari al «pater familias»). Ma quel che colpisce è, più che altro, la assoluta diversità delle fonti tizianesche, diversità in tutti i sensi.

Nella lunga e impegnativa introduzione, che occupa le pagine iniziali del primo volume, Hope sintetizza e commenta in una maniera sintetica le due categorie di fonti a disposizione: quelle stampate e quelle a manoscritto, i Documents. In tutto il discorso introduttivo appare chiaro il metodo dell’autore, teso ad evidenziare, tramite confronti incrociati di dati, la validità o meno di quanto affermato nelle varie biografie e altri testi stampati riguardanti Tiziano; un metodo, questo, che possiamo definire «decostruttivo», smascherando tutta una serie di «certezze» biografiche e altro materiale tizianesco come manipolazioni, errori, sviste, incomprensioni e altro da parte di autori come Pietro AretinoGiorgio VasariCarlo Ridolfi. Così la cronologia delle lettere di e all’Aretino viene esposta come sostanzialmente fantasiosa, mentre il trattamento riservato al Cadorino da Vasari appare, da un’analisi ravvicinata, altamente problematico.

La prima edizione delle Vite, la Torrentiana, del 1550, non contiene nemmeno una vita autonoma del Cadorino, cosa che pare una vera e propria provocazione, visto il fatto che Tiziano, a quella data, era uno dei pittori più quotati in Italia. I pochi cenni sull’artista ricorrono soprattutto nella vita di Giorgione, un brano estremamente complesso, per non dire una vera e propria manipolazione; in effetti, nella seconda edizione vasariana, la Giunta, del 1568, troviamo una nuova biografia del pittore di Castelfranco, totalmente diversa dalla prima.

La vicenda ci interessa qui solo «a latere», ma il rapporto fra Giorgione e Tiziano, nei termini in cui viene presentato dall’Aretino, sta alla base di tutte le analisi sul dibattutissimo problema degli esordi tizianeschi. Su quel problema Charles Hope ha naturalmente il suo punto di vista, chiamando in causa, ed è ovvio, non solo i testi vasariani ma anche i documenti d’archivio (troppo pochi, purtroppo, per una ricostruzione davvero attendibile dei primi anni in Laguna dell’artista cadorino).

Va detto che laddove l’autore può avvalersi del supporto di fonti scritte (come nel caso della «Pietà» della Scuola di San Rocco, passato, giustamente, da Giorgione a Tiziano, con una datazione da fissare fra il 1508 e il 1509, o la ricostruzione degli affreschi del Fondaco dei Tedeschi), i suoi ragionamenti sono di regola solidi, limpidi ed attendibili, ma convince un po’ meno quando pronuncia dei verdetti perentori sulla base delle qualità pittoriche delle opere.

È il caso, per esempio, del ritrattino di giovane nello Städel Museum di Francoforte che, grazie a uno scritto sul retro, risulta databile al 1516 o poco prima; un dipinto che, nelle ultime pubblicazioni monografiche viene generalmente (e a mio avviso giustamente) attribuito a Tiziano, ma che Hope, in poche frasi, liquida perché diverso in stile dal «Cristo e la Moneta» di Dresda, probabilmente del 1516; confronto problematico perché quest’ultima opera è di una tipologia del tutto diversa dall’effigie intima di Francoforte.

Un altro caso ci riporta al Vasari, il quale, nella Giuntina, aveva inserito sì una vita di Tiziano. In tale biografia, che risulta piuttosto ben informata sui singoli dipinti e che sarebbe largamente (se non interamente) dovuta al corrispondente del Vasari, Cosimo Bartoli (secondo l’argomento persuasivo di Hope), l’Aretino cita fra le opere giovanili un «quadro grande di figure simili al vivo», nella casa di Andrea Loredano a San Marcuola, raffigurante la «Fuga in Egitto», aggiungendo che, per la resa del paesaggio, Tiziano avrebbe «tenuto per ciò in casa alcuni tedeschi eccellenti pittori di paesi e verzure».

Secondo molti studiosi, questo dipinto sarebbe da identificarsi con una grande tela all’Ermitage di San Pietroburgo, da collocare in termini cronologici a circa 1507-09. Ora, Hope liquida l’attribuzione in poche frasi «perché il dipinto non dimostra delle rassomiglianze strette con alcuna pittura di Tiziano di questo periodo o alcun’altro» (V, p. 1768, 56801090). Un giudizio troppo frettoloso, questo, per di più discutibile in termini metodologici, e pronunciato senza citare il recente studio monografico del dipinto dell’Hermitage, dovuto ad Antonio Mazzotta (Titian. A fresh look at nature, Londra, The National Gallery, 2012). Su certe lacune bibliografiche anche lampanti sarà peraltro il caso di tornare più avanti.

Tornando alle fonti, fra le prime biografie tizianesche, quella più estesa è quella di Carlo Ridolfi, ne Le maraviglie dell’arte, del 1648. Una vita verbosa, piena di dati incontrollabili e in parte inventati, come – lo aveva indicato lo stesso Hope in una pubblicazione di anni fa (The Early Biographies of Titian, in Titian 500, Washington, 1993) – la descrizione di un fittizio apparato funerale per Tiziano, sulla falsariga del funerale di Michelangelo a Firenze. L’analisi di Hope coglie bene il carattere retorico di Le maraviglie dell’arte, che si presentava come una sorta di «contro-Vasari», posizionando Tiziano più o meno nel ruolo di Michelangelo nella costruzione storiografica dell’aretino.

I documenti archivistici tizianeschi, che occupano la gran parte dei volumi qui discussi, sono di varie categorie e provenienze. Una parte viene dalla famiglia Vecellio, ed è sorprendente constatare che un cospicuo numero dei family papers risulti ancora reperibile, in buona parte preservato negli archivi e biblioteche di Vittorio Veneto e di Pieve di Cadore. Un numero non secondario di documenti, tuttavia, si è rivelato falso, risultando dal mercato di autografi per i collezionisti, in crescita fin dall’Ottocento, come per prima ha avvertito Erica Tietze-Conrat, in un fondamentale contributo del 1944.

Di essenziale importanza sono i fondi archivistici che riguardano i rapporti di Tiziano con le corti italiane e con quella asburgica. Infatti, i Titian documents confermano con estrema autorevolezza e prova dei fatti quel che già si sapeva, cioè che Tiziano Vecellio fosse il primo pittore il cui raggio di attività e la cui autorevolezza artistica risultino essere di una dimensione veramente europea. Oppure, sarebbe forse più corretto dire, una dimensione asburgica, tant’è vero che i Gonzaga, i Della Rovere e i Farnese erano tutti, in una maniera o un’altra, subordinati al potere della dinastia regnante del Sacro Romano Impero.

È un dato di fatto che nel propagare l’ideologia imperiale, Carlo V (assecondato e coadiuvato dalla sorella Maria d’Ungheria), e, nel seguito, Filippo II, si avvalsero di una politica di immagini in buona parte gestita da Tiziano. Ed è di questa grande vicenda, affiancata a quelle, se vogliamo «limitrofe», che riguardano le corti italiane, che testimoniano i documenti raccolti nei volumi di Hope.

La stragrande parte di queste testimonianze, a dire il vero, era già nota, ma Hope, nelle sue meticolose trascrizioni e i suoi altrettanto accurati commenti, corregge, amplifica, puntualizza come si deve in questo esemplare corpus diplomaticum. I punti di partenza storiografici che costituiscono la base delle raccolte di Hope sono, in estrema sintesi, i seguenti. I documenti estensi, quasi tutti conservati nell’Archivio di Stato di Modena, furono per primo pubblicati da Giuseppe Campori, mentre quelli gonzagheschi, nell’Archivio di Stato di Mantova, furono resi noti in varie occasioni, più recentemente da Diane Bodart e da Lisa Seitz.

Il materiale riguardante i Della Rovere, nell’Archivio di Stato di Firenze, risulta pubblicato da Georg Gronau; i documenti Farnese (nell’Archivio di Stato di Parma) furono trascritti ed editi da Oliviero Ronchini e, un secolo più tardi, da Celso Fabbro. I rapporti con gli Asburgo, infine, sono ampiamente (ma con vistose lacune) documentati dalle carte conservate in grandissima parte nell’Archivo General di Simancas. Tale materiale fu presentato nel 1998 da Matteo Mancini ed è fondamentale, soprattutto, per definire le relazioni dell’ormai anziano pittore con Filippo II.

Sorvolando, in queste nostre righe, alcuni grossi problemi generali, come quello, non facile, dell’autografia o meno delle lettere che furono mandate a nome di Tiziano (un argomento ripreso, fra gli altri, da Lionello Puppi, nell’edizione delle lettere tizianesche da lui curata ed uscita nella collana del Centro Studi Tiziano e Cadore nel 2012), e rinunciando, ovviamente, ad entrare nelle mille e poi mille questioni, domande, perplessità anche che si presentano alla lettura e allo studio di questa magnifica, sbalorditiva raccolta documentaria, ci preme sottolineare, ancora una volta, che i sei volumi costituiscono la testimonianza più eloquente ed esauriente non solo della «vita ed opere» di Tiziano Vecellio, ma anche della politica, la cultura, la vita sociale ed economica fra le corti e le capitali italiani e l’Europa centrale del Cinquecento; insomma, del mondo asburgico tout court.

In questi termini, il lavoro di Charles Hope è da affiancarsi idealmente ad un altro magnifico opus, la grande monografia dedicata al sommo committente del cadorino, l’imperatore Carlo V, ad opera di Geoffrey Parker, che uscì nel 2019 (Emperor. A New Life of Charles V). Il libro di Parker si presenta, ovviamente, nella forma di una narrazione, ma lo stesso vale anche, direi, per la raccolta documentaria tizianesca che offre, a ben vedere, una pluralità quasi infinita di trame narrative, ricavabili dalle notizie, dalle trattative, dalle richieste, dalle affermazioni, insomma dal complicato e variopinto universo vecelliano che emerge dalle carte.

Due cose rimangono da dire. Il lavoro di Hope è strettamente documentario. Di conseguenza, la rinuncia a nozioni interpretative o anche attributive non può sorprendere (oltretutto, Charles Hope è noto per la sua posizione no-nonsense rispetto a qualsiasi speculazione iconologica o formale), ma la totale assenza, nella bibliografia e nelle schede, delle pubblicazioni di Augusto Gentili, e la citazione ridotta al minimo degli scritti di Alessandro Ballarin si evidenziano in una maniera quasi provocatoria: ed è da considerarsi un vero peccato.

Infine questo pensiero. Un progetto come i Titian documents non è mai definitiva, non è mai finita. Nuovi dati, nuovi fatti, nuove considerazioni su Tiziano salteranno per forza fuori nel corso del tempo. Per questo motivo un altro studioso inglese, Tom Henry, ha voluto pubblicare i Signorelli documents sul web. Sarebbe forse auspicabile un’edizione online dei documenti tizianeschi per trasformare il magnum opus di Charles Hope in un immenso laboratorio aperto, accessibile ed elaborabile per tutti. Ma a prescindere da questa idea «modernista», la magnifica edizione cartacea è e rimarrà per sempre un monumento unico per Tiziano e per l’autore.
 

Bernard Aikema, 15 dicembre 2023 | © Riproduzione riservata

Il libro | Tiziano | Un monumento unico | Bernard Aikema

Il libro | Tiziano | Un monumento unico | Bernard Aikema