Enrico Tantucci
Leggi i suoi articoliMarmi antichi della statuaria classica senza più segreti e con un metodo infallibile e rapidissimo per stabilirne la provenienza. Così è per il Lama, il Laboratorio di analisi dei materiali antichi dell’Università Iuav di Venezia. Un gioiello volutamente nascosto nel panorama dei laboratori e degli istituti di ricerca veneziani, ma solo perché troppo impegnato a livello nazionale e internazionale per avere bisogno di farsi pubblicità.
A dirigerlo da sei anni è Fabrizio Antonelli, che ha raccolto il testimone dal suo maestro Lorenzo Lazzarini, fondatore del Centro. Qui geologi e petrografi mettono a frutto le proprie competenze sullo studio dei materiali, soprattutto lapidei, applicandoli ai manufatti antichi. Grazie alle strumentazioni d’avanguardia di cui il Lama è dotato, sono appunto in grado di identificare l’origine delle pietre e dei marmi usati in età antica, analizzandone la composizione. Ma anche di studiarne il deterioramento nel corso del tempo e le migliori tecniche di conservazione. Ne è un esempio una delle ultime ricerche in corso.
«Riguarda una statua di Paride, con il torso di epoca romana, conservata nel Museo del Duomo a Milano, e che sarà esposta dal 17 novembre alla Fondazione Prada in un’importante mostra, “Recycling Beauty”, curata da Salvatore Settis con Anna Anguissola e Denise La Monica. La testa della statua è stata aggiunta e dobbiamo ancora analizzarne la provenienza. Ma il marmo del torso non proviene, come sarebbe stato normale pensare, da cave di area mediterranea, ma da quelle di Candoglia, in Val d’Ossola. Un marmo locale, dunque, per una statua romana, che rappresenta quindi una novità importante per archeologi come il professor Settis, che ci ha commissionato l’indagine».
Gli incarichi del Lama sono di portata internazionale. Il British Museum ha ad esempio appena commissionato al Laboratorio un’indagine su cinque statue di epoca romana che fanno parte delle collezioni del museo inglese, per accertare la provenienza microasiatica dei marmi di cui sono costituite. «Abbiamo inoltre da anni commissioni in atto con il Parco Archeologico di Pompei, spiega ancora Antonelli, e la più recente riguarda il mosaico della Casa d’Orione, ritrovato solo da pochi anni, vicino a quello della Chimera. Si tratta anche qui di stabilire l’origine delle tessere musive, se locale o microasiatica, per avere così nuovi elementi di lettura stilistica di questi straordinari mosaici. Ma stiamo anche lavorando all’identificazione dei materiali di quella ricchissima mole di manufatti marmorei contenuti negli ex granai di Pompei, oltre ad alcune lastre di rivestimento parietale presenti nella zona di Murecine, sempre vicino Pompei».
Ma c’è ad esempio anche la salvaguardia di Venezia tra i temi di ricerca del Lama, che collabora attualmente anche a due grossi progetti europei, che coinvolgono, oltre a Rodi e Granada e il centro norvegese di Tønsberg, appunto anche la città lagunare. Le indagini riguardano in particolare la Torre dell’Orologio di piazza San Marco, per stabilire il progressivo degrado dei marmi e dei materiali lapidei nel corso del tempo, legati anche ai cambiamenti climatici, e stabilire un prontuario di primo intervento per garantire la loro sopravvivenza il più a lungo possibile.
Ma al Lama sono in grado anche di distinguere con certezza i marmi antichi di origine turca da quelli scolpiti in marmo di Carrara, come avvenuto di recente grazie a uno studio condotto tra l’altro sulle copie classiche del «Galata» conservate al Museo Archeologico di Venezia. Originariamente una scultura bronzea attribuita a Epigono e risalente al 220 a.C. circa, commissionata dal re Attalo I di Pergamo per celebrare appunto la sua vittoria contro i Galati. Ma che diede poi origine a molte copie in età romana.
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