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Francesco Tiradritti
Leggi i suoi articoliLa mostra «Taharqa. Il faraone nero» alla Ny Carlsberg Glyptotek (fino al 28 giugno) fa parte di un programma volto a presentare al largo pubblico le collezioni egizie della prestigiosa istituzione museale danese
Il sovrano (690-664), uno dei cosiddetti «faraoni neri» la cui successione costituisce la XXV dinastia, è stato scelto come personaggio chiave per descrivere il rapporto tra Egitto e Sudan nell’antichità che, da sudditanza politica e culturale andò gradualmente rovesciandosi fino all’invasione, avvenuta intorno alla metà dell’VIII secolo a.C., delle terre del nord da parte delle genti meridionali.
«La mostra, afferma Tine Bagh, egittologa presso la Ny Carlsberg Glyptotek, prende spunto dallo studio e dalla pubblicazione dei reperti provenienti dagli scavi di Kawa e Meroe conservati presso la Ny Carlsberg Glyptotek. Abbiamo però deciso di incentrarla sulla figura di Taharqa in seguito al generoso prestito concessoci dal British. Il museo londinese ha infatti deciso di accordarci uno dei capolavori della sua raccolta sudanese: la sfinge di Taharqa ritrovata nel tempio dedicato dal sovrano al dio Amon a Kawa. Trovo che la scultura sintetizzi bene l’essenza della storia che intendiamo raccontare: è egiziana, ma ha tratti del viso africani».
La mostra presenta settanta reperti, quasi tutti provenienti dai magazzini della Ny Carlsberg Glyptotek che ha colto l’occasione per compiere anche alcuni restauri. È il caso delle due stele, ritrovate nel cortile del tempio di Kawa, andate distrutte durante il trasporto in Danimarca. Un paziente lavoro di ricostruzione ha consentito ora di presentarle per la prima volta accanto alle due altre stele sempre provenienti dal tempio di Taharqa. Una sezione è anche dedicata ai reperti giunti a Copenaghen in seguito agli scavi compiuti da John Garstang a Meroe, l’antica città a 180 km a nord di Khartum che ospitò la capitale del regno omonimo fiorito tra IV secolo a.C. e IV d.C.
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