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Alessandra Ruffino
Leggi i suoi articoliDue caratteri, due carriere, due visioni dell’Œuvre e un singolare sodalizio. «Emblematiche del cannibalismo che regna tra i creatori», le vite parallele di Marcel Proust (1871-1922) e Jean Cocteau (1889-1963), legati da un tortuoso rapporto di ammirazione-mimetismo-competizione sono al centro del cangiante e fulgido mosaico composto da Claude Arnaud in Proust contro Cocteau (Archinto).
Di queste due elette personalità, l’autore indaga le sorti inverse: nel 1909-10, quando i due si incontrano, Cocteau, ventiduenne, ha già avuto grandi riconoscimenti, è acclamato come un genio e vezzeggiato da Tout Paris; il quarantenne Proust, al contrario, non ha ancora composto un’opera finita, sta scivolando ai margini e pochi son ancora disposti a scommettere che le sue velleità letterarie troveranno mai compimento. Il più giovane è mondano, versatile, sano, immerso nel presente; l’altro la mondanità la sogna dal chiuso d’una stanza, è malato e dal 1908 «si seppellisce per riportare in vita il passato» in un isolamento via via più inviolabile; Jean è «soggetto a irreprimibili metamorfosi», Marcel «costantemente accompagnato da un io che sembrava impossibile condensare». Opposti, complementari, ma anche con tratti di stretta somiglianza, i due incrociano i loro destini per una dozzina d’anni. Al giovane amico, che darà un contributo decisivo all’uscita e all’affermazione di Du côté de chez Swann (1913), Proust rimproverava la dispersività: «in società non si è mai altro che un uomo di mondo, “una creazione del pensiero degli altri”», diceva, ma Cocteau pensava di poter essere un artista profondo pur vivendo appieno la vita.
A partire dal 1923, le loro fortune si ribaltano: scomparso Proust da un anno e sconvolto dalla morte di Radiguet, Cocteau s’avvia a «un declino di quasi mezzo secolo, mentre Proust entra per sempre nella gloria». Ridotto al rango di principe frivolo della mondanità, l’autore della Voix humaine paga il prezzo del successo artistico di gioventù e di una vita bella con una specie di warholizzazione ante litteram, nella quale il personaggio soverchia l’opera e, una volta fuori dai riflettori, perisce o sbiadisce; solo all’inizio degli anni Duemila l’universo poetico di Cocteau è stato rimesso nella giusta prospettiva di valore. Diventato immortale riscattando una brutta vita attraverso un’opera-universo, Proust aveva invece alzato «l’asticella così in alto che, da allora in poi, uno scrittore ha quasi l’obbligo morale di morire con il suo libro». Costruito con maestria e scritto con una prosa intensa, cadenzata e insieme flessibile e pronta ora a condensarsi in notazioni psicologiche, ora a sciogliersi nell’aneddoto (sempre ben dosato, al pari delle citazioni testuali), ora a vibrare il colpo di un affondo critico illuminante, quello di Arnaud è un saggio bellissimo.
Proust contro Cocteau, di Claude Arnaud, 224 pp., trad. di Anna Morpurgo, Archinto, Milano 2017, € 25,00
La copertina del volume
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