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Ha raccolto 300 milioni di dollari

Emily Sharpe

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Quando Bonnie Burnham arrivò al World Monuments Fund (Wmf) nel 1985, l’organizzazione privata senza fine di lucro dedicata alla preservazione dei siti del patrimonio culturale globale non mancava di spirito e di ambizioni, ma era a corto di mezzi e di capacità. Durante la sua gestione in qualità di presidente e direttrice generale, la Burnham ha trasformato il fondo in una potenza globale della conservazione con società e strutture nel Regno Unito, in India, Peru, Portogallo e Spagna, e 600 progetti in 120 Paesi. E, cosa non trascurabile, sotto la sua gestione sono stati raccolti circa 300 milioni di dollari, tra cui una donazione da 100 milioni di dollari da parte del defunto filantropo Robert Wilson. La Burnham ha appena lasciato il suo incarico dopo 30 anni. Le subentra Joshua David, cofondatore di Friends of the High Line, un gruppo che ha fatto pressioni per la trasformazione della ferrovia sopraelevata in abbandono a Manhattan in un apprezzatissimo parco e in spazio pubblico per le arti.

Il Wmf, che sta celebrando il suo 50mo anniversario, venne fondato nel 1965 da James A. Gray. La Burnham vi salì a bordo, proveniente dall’International Foundation for Art Research, 20 anni più tardi, quando Gray «si ritirò precipitosamente e senza un progetto per il futuro dell’organizzazione», dice, spiegando che si trattava essenzialmente di un’iniziativa individuale le cui attività si fondavano principalmente sulla passione di Gray: aiutare Venezia a riprendersi dalla disastrosa alluvione del novembre 1966, che colpì anche Firenze. «Il Consiglio di amministrazione voleva che il fondo diventasse globale e che si configurasse come una forza per il settore privato in grado di rappresentarne gli interessi nel campo della conservazione del patrimonio culturale», dice. All’epoca, tutti i principali attori erano governativi o intergovernativi e quindi le maggiori campagne, tra cui lo spostamento dei monumenti nubiani nel quadro del progetto della Diga di Assuan negli anni ’60, erano finanziati con denaro pubblico. «Quando arrivai, l’obiettivo era diventare più globali e reperire nuove fonti di finanziamento», dice. 

La Burnham iniziò immediatamente la ricerca di partner internazionali. Coerentemente, il suo primo progetto (il restauro del portale e del chiostro della chiesa romanica di Saint Trophime ad Arles, in Francia) si è concluso lo scorso settembre. «All’epoca avevamo risorse limitate, quindi stabilimmo una regola in base alla quale il nostro contributo non avrebbe superato il 25% dei costi totali del progetto», dice. Il restauro, in collaborazione con la Città di Arles, ha generato un rinnovato interesse per la chiesa. «È diventata il fulcro di Arles, e questo è il genere di impatto che cerchiamo», dice. 

Sebbene il fondo sia oggi più flessibile rispetto alla regola del 25%, e certi impegni unilaterali vengano assunti solo in circostanze estreme (come il recente terremoto in Nepal, dove il fondo aveva lanciato il suo primo progetto in Asia nel 1984) è sempre alla ricerca di contributi da parte di partner stranieri. Ad Angkor in Cambogia, per esempio, ci si aspetta che l’ente nazionale responsabile per la manutenzione dei monumenti Khmer metta in atto un investimento aggiuntivo per la manutenzione dell’area. Il lavoro del fondo in Cambogia iniziò nel 1989, «in un’epoca in cui gli Stati Uniti non riconoscevano il Governo di transizione», dice Lisa Ackerman, vicepresidente esecutiva e direttrice operativa del fondo. «Fu un bel mal di pancia per Bonnie lanciare quella campagna e organizzare viaggi in Cambogia in precarie condizioni di sicurezza. Ma la gente vide Angkor attraverso gli occhi di Bonnie e si innamorò della sua visione del futuro di quel sito».

Tecniche di avanguardia

Il fondo era all’avanguardia agli inizi degli anni 2000, quando attivò la sua prima partnership internazionale e l’impegno alla Città Proibita a Pechino per restaurare un giardino del XVIII secolo e il padiglione costruito per l’imperatore Qianlong. Sebbene la Città Proibita fosse una gallina dalle uova d’oro in termini di incassi dai visitatori, questo denaro non andava alla conservazione. «Non avevano strutture e i loro restauratori erano esperti in pratiche artigianali basate sulla tradizione, ma non necessariamente sulla scienza, dice la Burnham. Avevamo una grande opportunità per creare un programma di formazione in grado di riposizionare la Cina in molti settori del restauro».

L’istituzione della World Monuments Watch List nel 1995 è ritenuta dalla Burnham il più influente programma di conservazione istituito sotto la sua gestione. L’obiettivo era duplice: individuare i siti prioritari e generare interesse per il patrimonio culturale. A oggi, 790 siti in 135 Paesi sono apparsi nell’elenco. «Agli inizi, tutte le nomine avvenivano per posta, dice la Ackerman. Il giorno previsto per la presentazione, avevamo letteralmente carrelli della spesa pieni di dossier. La risposta fu sconvolgente». 

Nel corso degli anni, la Watch List, sponsorizzata dall’American Express, ha portato a ulteriori iniziative come «Modernismo a Rischio», che si propone di preservare gli edifici modernisti che sono, nel complesso, sottovalutati e a rischio di demolizione. L’elenco ha anche dimostrato come le minacce da parte dell’uomo, compreso lo sviluppo, le violazioni di diritti e i conflitti, costituiscano un problema per l’85% dei siti. «La questione di fondo è che l’intero settore del patrimonio culturale non è sufficientemente sostenuto dall’insieme degli enti governativi cui ne spetterebbe la responsabilità», dice la Burnham. 

L’escalation della violenza in Medio Oriente ha creato nuove preoccupazioni per il patrimonio culturale globale. E, benché lo sviluppo rappresenti probabilmente una minaccia per il patrimonio culturale peggiore della guerra, la risposta ai conflitti richiede un approccio diverso, dice la Burnham. Quando, per problemi di sicurezza, il fondo non era in grado di lavorare nei siti iracheni, compresa Babilonia, fecero venire in Giordania e in Egitto personale del Consiglio statale iracheno delle Antichità per corsi di formazione e per fornire loro le attrezzature necessarie alla conservazione. «Occorre sviluppare reti relazionali come se si dovesse lavorare fianco a fianco sul terreno così, nel momento in cui si presentano nuove opportunità, si è già attrezzati e pronti a partire», dice. 

La visione della Burnham, la sua abilità nel cogliere le opportunità e il suo spirito d’avventura (qualità già del suo predecessore Gray) sono state la chiave per far crescere il Wmf. «Bonnie ha modi così semplici e con uno staff molto limitato è stata in grado di rendere possibile tutto ciò con la sola fiducia che potesse essere fatto e che il denaro sarebbe arrivato, dice la Ackerman. E in qualche modo, miracolosamente, arrivava».

Emily Sharpe, 30 novembre 2015 | © Riproduzione riservata

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