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La mostra «The Others Me» (fino al 21 giugno), curata da Silvia Cirelli per le Officine dell’Immagine, è la più ampia retrospettiva sinora vista in Italia di Shadi Ghadirian, una delle più importanti artiste mediorientali del nostro tempo.
Poco più che quarantenne (è nata nel 1974 a Teheran, dove vive), nel suo lavoro riflette su temi cruciali del nostro tempo, dalla guerra, il cui marchio bruciante è ancora impresso sugli iraniani che come lei hanno vissuto il conflitto con l’Iraq, alla condizione femminile nel suo Paese.
Immagini di grande forza, mai retoriche né brutali, che fanno ricorso a simboli, ora attingendo all’immaginario delle fiabe, ora esplorando il passato del suo Paese e servendosene come di una metafora. I primi lavori in mostra appartengono alla serie «Miss Butterfly», 2011, ispirata a una fiaba iraniana in cui si narra di una farfalla che, in cerca del sole, cade prigioniera nella tela di un ragno: Ghadirian l’ha tradotta in immagini di donne che, in interni bui, tessono ragnatele.
Più nota è la serie «Like Everyday», 2002, che mostra donne vestite di chador floreali il cui volto è sostituito da utensili da cucina. Ben conosciute anche le fotografie di «Qajar» (dal nome della dinastia che regnò in Iran dal 1794 al 1925) dove, in ambientazioni d’epoca, appaiono «oggetti proibiti» del nostro tempo. Da ultimo gli scatti della serie «Nil Nil», 2008, in cui la guerra irrompe nel quotidiano attraverso strumenti di morte mischiati a oggetti domestici.
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