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Il ninfeo di Palazzo Silvestri Rinaldi a Roma

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Il ninfeo di Palazzo Silvestri Rinaldi a Roma

Forse qui la Collezione Torlonia?

Il Palazzo Silvestri Rivaldi costituisce un'opportunità irripetibile per l'auspicata realizzazione del nuovo museo

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Francesco Scoppola

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Roma. C’è un palazzo in centro che offre opportunità irripetibili. È stato costruito da Eurialo Silvestri da Cingoli, segretario di camera di papa Paolo III (Alessandro Farnese). Rappresenta un documento del breve periodo che, dopo la Riforma di Lutero, ha preceduto il Concilio di Trento e la Controriforma. Una memoria però sconosciuta che solo ora sta tornando in luce perché quelle spensierate e gaudenti decorazioni sono state poi nascoste da altre forme di ornato più sobrie e castigate: una censura totale.

Già all’inizio del Settecento nel palazzo di Eurialo Silvestri non restava più nulla della festosa decorazione cinquecentesca, nemmeno l’ombra dei fasti riservati agli ospiti del segretario del papa. Quest’epoca in cui era diffusa la simonia con la vendita delle indulgenze per finanziare la fabbrica della nuova Basilica di San Pietro è stata in seguito giudicata come epoca di grave degrado etico e morale. Innegabili erano anche la violenza, la prepotenza e la libertà dei costumi, con Eurialo Silvestri che cerca di emulare l’esempio del Farnese quando, segretario a suo tempo del papa Borgia, gli aveva presentato la bella Giulia.

Certo questa lacerata pagina dello scisma d’Occidente può essere presentata come un periodo di corruzione dei costumi, ma di fatto nella prima metà del Cinquecento emerge finalmente la percezione di una componente femminile accanto a quella maschile. Dopo uno sfarzo pittorico di fertilità, di ventri tesi, di putti e festoni di frutta, in Palazzo Silvestri Rivaldi presto si vira su nuovi simboli: i rovi e le rose accompagnati dal motto «sic floruit» voluti da Ottavio Alessandro de’ Medici prima di divenire papa per meno di un mese col nome di Leone XI, ma anche questo pare un motto allusivo rientrante nel solco di un inno alla fertilità, alle doglie del parto.

Nel secolo successivo alla sua costruzione il palazzo viene di fatto convertito da luogo di delizia a luogo di soccorso, ma sempre al femminile: grazie al lascito di Ascanio Rivaldi la villa diviene ricovero, filanda e manifattura per le donne sole, le «zitelle». Sembra un ribaltamento, tanto che le decorazioni volute da Silvestri vengono occultate, sostituite da severe architetture illusionistiche.

Ma le decorazioni pittoriche occultate, probabilmente dovute a Taddeo Zuccari e Francesco Salviati, non sono la sola parte di questa villa che sia stata condannata per motivi ideologici. Nel 1932 viene infatti decisa la demolizione dell’intero fabbricato forse opera di Antonio da Sangallo e Jacopo Del Duca per lasciar spazio al Palazzo Littorio nel decennale dell’era fascista. Viene per prima cosa amputato il parco, «uno dei più interessanti giardini romani del cinquecento» lo definì Giovanni Incisa della Rocchetta: molte delle fontane vengono demolite e scompare la grande vasca ovale posta presso la sommità della collina Velia.

Viene quindi bandito il concorso per la progettazione del nuovo edificio, ma il progetto vincente non viene realizzato lì dove si pensava di erigerlo, bensì presso il nuovissimo Foro Italico. Il sollievo è di breve durata perché nel secondo dopoguerra si registrano un’altra sentenza di demolizione e un altro concorso per la realizzazione di un nuovo edificio sostitutivo di Palazzo Silvestri Rivaldi, questa volta un parcheggio affacciato sull’area archeologica.

Certo a quel punto nessuno avrebbe sperato più qualcosa di buono per un immobile già privato di gran parte del suo giardino monumentale per l’apertura della nuova arteria tra piazza Venezia e il Colosseo. Ha così inizio la fase di abbandono, si affaccia l’ipotesi di trasformazione in casa di riposo per prelati anziani e di trasformazione in albergo di lusso, col che quasi nulla di quanto era nascosto alla vista sarebbe sopravvissuto.

Nei primi anni Novanta si torna a esaminare la possibilità di un salvataggio. Per iniziativa di Adriano La Regina, Filippo Coarelli esegue indagini archeologiche nel cortile maggiore, ritrovando cospicui resti degli edifici che perimetravano in antico il Foro della Pace. Con l’Istituto Centrale del Restauro la Soprintendenza archeologica fa eseguire indagini stratigrafiche estese alle strutture in elevazione, avviando il rinvenimento delle decorazioni cinquecentesche solo in minima parte allora visibili. Vengono inoltre rinvenute nell’area due teste femminili antiche.

Grazie a questi interventi del Ministero per i Beni culturali si raggiungono i primi accordi con la proprietà, con il Comune di Roma e con la Regione Lazio e sembra avvicinarsi la conclusione del periodo più critico nell’esistenza di questo edificio. Il 27 ottobre dell’anno prossimo sarà il centenario della nascita di Antonio Cederna al quale è dedicato il belvedere al margine della porzione residua del giardino, su via dei Fori Imperiali: Cederna ha scritto pagine insuperate sulla distruzione della Velia. È forse venuto davvero il momento favorevole per voltare pagina.

Nel 2015 è stata finalmente raggiunta un’intesa per l’esposizione al pubblico della Collezione Torlonia che intere generazioni non hanno potuto ammirare: converrebbe avviare subito il lavoro per l’auspicata realizzazione di un nuovo museo, che potrebbe trovare sede proprio qui. Senza dover comprare la sede in cui esporla, lo Stato potrebbe discretamente agire con gradualità e col minimo dell’impegno possibile, commisurando le proprie forze al periodo di generale carenza di risorse: restaurando quel che comunque andrebbe salvato.

Francesco Scoppola, 21 gennaio 2020 | © Riproduzione riservata

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