Image
Image

Dal disegno al segno

«Maktub» («è scritto») in arabo, «scripta manent» in latino

Myriam Zerbi

Leggi i suoi articoli

Nel poema epico sumerico Enmerkar e il Signore di Aratta (3200 a.C.), troviamo il mito che fonda l’invenzione della scrittura: Enmerkar, mitico sovrano di Uruk, inviava al suo avversario, il Signore di Aratta, messaggi tramite un araldo, che li memorizzava e li ripeteva a voce. Complicandosi la situazione e dimostratosi l’araldo incapace di tenere a mente un complesso discorso, «il messaggero aveva la lingua pesante», il re, per far passare la comunicazione, impasta l’argilla in forma di tavoletta e con un chiodo vi incide parole. Il Signore di Aratta, scrutando la parola scritta, commenta: «la parola detta ha forma di chiodo. La sua struttura trafigge».

Non ci potrebbe essere luogo più congeniale dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti di Venezia per ospitare «Prima dell’alfabeto» (fino al 25 aprile), mostra promossa dalla Fondazione intitolata a Giancarlo Ligabue (1931-2015), curata da Frederick Mario Fales (Università degli Studi di Udine), coadiuvato da Roswitha Del Fabbro (catalogo Giunti a cura di Adriano Favaro).

Imprenditore, archeologo e paleontologo, con più di 130 spedizioni scientifiche nel mondo, Ligabue, che dell’Istituto Veneto è stato socio, mette insieme una collezione fondata sulla ricerca e sul desiderio di preservare la memoria di civiltà scomparse e di luoghi che oggi sono teatro di guerra e distruzione.

Il suo «archivio mesopotamico» di tavolette d’argilla e di sigilli cilindrici incisi, documenti di terra e di pietre semipreziose, è presentato nel Palazzo Loredan, nella biblioteca dell’Istituto Veneto, fulcro di studi e diffusione del sapere dal 1810, e narra, attraverso reperti che coprono un arco temporale di circa sei millenni, l’avventura rivoluzionaria della scrittura che traghetta l’umanità dalla Preistoria alla Storia.

Unendo passato e presente mediante l’utilizzo di apparati interattivi, la mostra tira fuori l’antichità dalle polverose teche e fa rivivere (ingranditi) tavolette delle dimensioni di uno smartphone e sigilli non più grandi di un pollice. Attraverso oggetti rari e affascinanti, quale la tavoletta incisa con la sua busta di terracotta, si segue l’evoluzione della scrittura mesopotamica dal disegno al segno, dal pittogramma, che rappresenta un soggetto in forma stilizzata, agli ideogrammi a forma di chiodo uniformati nei segni-simbolo della scrittura, detta cuneiforme, utilizzata per 3.500 anni.

Realizzati da abili sfragisti, i sigilli, la cui originaria funzione era quella di vidimare un documento, riportando nome e professione del proprietario, divengono ornamenti, amuleti, status symbol. La loro superficie curva si anima di intagli con figure vegetali e animali, scene di lotta o di vita quotidiana, e racconti mitologici. Le tavolette d’argilla incise dallo scriba e poi cotte o fatte essiccare, nate come strumenti di contabilità, riproducono liste, resoconti, contratti.

Arricchiscono la mostra reperti come il bassorilievo assiro raffigurante Sargon II, prestato dal Museo di Antichità di Torino, e alcuni oggetti della raccolta di Austen Henry Layard, scopritore di Ninive, e da questi donati al Museo Archeologico di Venezia.

Myriam Zerbi, 05 febbraio 2017 | © Riproduzione riservata

Dal disegno al segno | Myriam Zerbi

Dal disegno al segno | Myriam Zerbi