Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliPresentando la «Florence Art Week», il sindaco di Firenze Dario Nardella e Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento, hanno espresso la loro solidarietà nei confronti del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, dopo la notizia del licenziamento di due dipendenti che sancisce la forte crisi nella quale versa il museo, di proprietà del Comune ma gestito da una fondazione presieduta dal 2019 da Lorenzo Bini Smaghi. Un museo molto poco visitato, come annota anche Chiara Dino sul «Corriere Fiorentino» dell’11 settembre, che ha poi scatenato altri interventi come quello su «Repubblica Firenze», dove Barbara Gabrielli intervista Cristiana Perrella, direttrice del Centro dal 2018 al 2021, ora in causa con il museo, alla quale è subentrato Stefano Collicelli Cagol.
Le motivazioni di una situazione così allarmante, al punto che la Lega toscana ne suggerisce perfino la chiusura, ha alle spalle un lungo percorso di lenta flessione rispetto agli anni più gloriosi che seguirono la sua inaugurazione nel 1988, quando il museo, fondato per volontà di Enrico Pecci e donato alla città di Prato in memoria di suo figlio Luigi scomparso prematuramente, nacque sotto forma di associazione culturale grazie all’apporto di vari soci, tra i quali il Comune di Prato, l’Unione industriale pratese e la Cassa di Risparmio di Prato, insieme a numerose ditte private e singoli cittadini, principalmente industriali pratesi in un momento più florido dell’economia.
Con la progressiva crisi del settore tessile, il museo dal 2015 diviene Fondazione per le Arti Contemporanee in Toscana, finanziata in parte da fondi pubblici (Comune e Regione Toscana) e in parte da fondi privati, sempre in calo e più difficili da reperire. Uno dei punti cruciali del «crollo» del Pecci riguarda infatti i finanziamenti e già lo scontro tra Perrella e Bini Smaghi nel 2021 concerneva proprio la visione non condivisa su come impostare il fundraising.
Il Pecci è scomodo da raggiungere, e Firenze non è New York
La realtà del Pecci è difficilmente paragonabile a quella di altre istituzioni, quali ad esempio la Fondazione Palazzo Strozzi a Firenze (di cui lo stesso Bini Smaghi è stato presidente dal 2006 al 2016), perché la missione del Pecci non è mai stata quella di essere un contenitore di grandi mostre, ma un museo che, con la sua collezione permanente, svolge da sempre un’intensa attività di ricerca grazie all’impegno di direttori e curatori sempre encomiabile e non messo in discussione in questa sede (ricordiamo anche Fabio Cavallucci che seguì il progetto di ingrandimento del museo nel 2016, firmato dall’architetto Maurice Nio scomparso in luglio a 63 anni, e curò la grande mostra di riapertura «La fine del mondo»).
Il pubblico interessato alle proposte culturali del museo pratese (almeno in parte diverso da quello che accorre alle esposizioni di artisti molto noti, che implicano anche grandi costi), fatica però a recarsi al Pecci, perché Firenze non è Berlino, New York e neppure Parigi. Checché se ne dica, il museo pratese non è comodo da raggiungere, nonostante gli sforzi fatti (fino a cambiare nome alla stazione dell’autobus) e, se non ci si recano i fiorentini, ancor meno lo fanno i turisti, italiani o stranieri, che forse percorrerebbero la stessa distanza in altre città, ma non lasciano la calamita del centro storico di Firenze specie senza un’attività promozionale che renda il museo più appetibile e noto. Turisti che l’arte contemporanea, se proprio la devono considerare, la chiedono nel contesto rinascimentale, a portata di mano: Sergio Risaliti, che dirige il Museo Novecento, ben sa quanto sia arduo proporre programmi impegnativi, nonostante la sede del suo museo sia a Firenze in piazza santa Maria Novella.
Nel 2022 luce e gas aumentati di 195mila euro, contributi pubblici scesi di 256mila
Il presidente Bini Smaghi preferisce non entrare nella polemica (Perrella sostiene che i conti del museo non fossero in rosso al tempo della sua direzione), affermando di aver già chiarito la sua posizione nell’audizione in Comune dello scorso 17 luglio, nella quale ha presentato i bilanci degli ultimi anni. Per crescere, ritiene necessario che i finanziamenti privati giungano al museo tramite una struttura più efficiente, che veda il coinvolgimento di presidente e direttore insieme, ma dove l’impegno del direttore, nel contesto di una fragilità definita da Bini Smaghi «strutturale e congiunturale», è comunque determinante.
Dalla sua relazione, basata anche sull’analisi dello stato del Centro Pecci compiuta nel 2021 da Guido Guerzoni dell’Università Bocconi di Milano (va però ricordato che in quell’anno, sotto la direzione Perrella, c’era ancora il Covid-19), si ricava che il bilancio del 2022 risulta in crescita rispetto all’anno precedente, con 333mila euro (+20mila rispetto al 2021 e +5mila sul 2019). Riguardo a quest’ultimi dati, Bini Smaghi fa però notare che i bilanci degli anni precedenti, pur già inferiori, lo sarebbero stati ancor di più senza la copertura di risorse accantonate: al netto delle riserve ci sarebbe infatti stato un -230mila euro per il 2022 e -127mila per il 2019. La fragilità «congiunturale» che rimane nel 2022 è legata alla variazione rispetto al 2019 di alcune voci di bilancio fuori dal controllo diretto della Fondazione, ovvero i consumi (luce, gas...) aumentati di 195mila euro, a fronte di un calo di contributi pubblici di ben 256mila euro, per un totale addirittura di -451mila euro.
Contenimento dei costi e più fundraising privato, ma anche licenziamenti
I problemi del Pecci non sono certo risolvibili nel giro di poco più di un anno, che ha coinciso oltretutto con la lenta ripresa post Covid-19, durante la quale erano stati ridotti i costi dei biglietti di ingresso. È ovviamente necessario un lasso di tempo per verificare gli effetti del cambiamento sui finanziamenti e sui costi. Riguardo i finanziamenti, dal rapporto del presidente della fondazione Lorenzo Bini Smaghi risulta che i finanziamenti privati (ottenuti tramite fundraising) sono cresciuti di 140mila euro e che grazie al Pnrr «Abbattimento barriere» si può arrivare a un +288mila euro sul bilancio 2023-24.
Alcune misure di contenimento sono state prese nel 2022, limitando l’apertura del museo a certi giorni della settimana, con chiusura anticipata a luglio, riducendo il programma espositivo, ma anche progettando un sistema di illuminazione di minor impatto energetico. A fronte di queste misure di risparmio, le linee di intervento del piano 2022-25 comprendono lo sviluppo del Dipartimento educativo, il rafforzamento dell’efficienza operativa (in cui rientra però la scelta dei licenziamenti, pur nel miglioramento salariale di altri dipendenti), l’attività di formazione e sostegno al territorio, lo sviluppo di attività di concessione spazi, l’incremento del fundraising privato e dei bandi pubblici. E, sul fronte della programmazione culturale, la riorganizzazione delle aree espositive, l’apertura della collezione permanente e un programma espositivo biennale.
Diego Marcon in mostra
Di questo programma fa parte la mostra di Diego Marcon, una delle più interessanti presenze alla 59ma Biennale di Venezia nel 2022. L’artista, già omaggiato da riconoscimenti internazionali a cui il museo dedica il più ampio progetto realizzato ad oggi in un’istituzione italiana, si muove al confine fra cinema ed arti visive, indagando il rapporto fra realtà e rappresentazione e individuando nell’immagine in movimento uno strumento di ricerca della realtà stessa. «Glassa» (dal 30 settembre al 4 febbraio) comprende opere nuove (come la première del film «Dolle», progetto vincitore del Pac2021-Piano per l’Arte Contemporanea promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura e destinato alle collezioni del Centro Pecci) o già esistenti, ma arrangiate in un unico allestimento pensato ad hoc per il Centro Pecci. Percorrendo le dieci sale dell’ala progettata da Italo Gamberini, grazie a un’illuminazione mirata con lucernari a soffitto, il pubblico si trova calato in una macchina esperienziale, messa in atto dall’artista con l’aiuto dell’architetto Andrea Faraguna, nella quale ogni movimento nello spazio è frutto di una meticolosa coreografia e controllata regia, che si fonda sul senso del vuoto, dello scorrere del tempo, dei cambiamenti di luce e sulla potenza delle immagini in movimento.
Il titolo ha un doppio senso: la glassa (derivante dal francese «glace») è ciò che si usa in pasticceria per ricoprire e decorare le torte, qualcosa di dolce ma anche di stucchevole fino alla nausea e la cui superficie liscia e spessa nasconde le asperità. Ma, sempre riferendoci al francese, la pronuncia rimanda anche a ciò che è gelato, ghiacciato e che può preservare le salme. Il tema del rapporto tra vita, morte e arte è ricorrente nel lavoro di Marcon, del quale si tiene quasi in contemporaneo anche una mostra alla Kunsthalle Basel di Basilea, intitolata «Have You Checked The Children» (27 ottobre-21 gennaio 2024, a cura di Elena Filipovic). La mostra pratese è accompagnata dalla pubblicazione di un volume e di un vinile (con le musiche del compositore Federico Chiari, scritte per i film dell’artista), editi da Lenz di Milano.
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