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Vittorio Gaddi tra le opere della sua collezione

Courtesy of Collezione Gaddi

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Vittorio Gaddi tra le opere della sua collezione

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Vittorio Gaddi: «Sono un notaio d’arte (come il nonno di Goya)»

Il collezionista toscano ha messo insieme una raccolta di più di 350 opere e ne ha curato personalmente il percorso allestitivo in cui ama condurre le visite private di persona

Elisa Carollo

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In trent’anni di collezionismo, Vittorio Gaddi ha saputo mettere insieme una raccolta che conta oggi più di 350 opere, senza limiti di medium, dimensioni o provenienza geografica. La collezione è cresciuta negli anni a tal punto da occupare oggi un intero casale ad essa dedicato nelle campagne vicino a Lucca, dove Gaddi ha curato autonomamente un percorso, fra narrativa ed estetica, che offre un’immagine delle tendenze degli ultimi decenni. Un’altra parte è collocata negli spazi dello studio notarile nel centro della cittadina toscana, per poi occupare anche un intero appartamento Art nouveau degli anni Venti. Spesso acquistate con grande visionarietà e intuito agli esordi della loro carriera, le opere della collezione includono alcuni dei nomi più importanti del contemporaneo affermatisi nell’ultimo trentennio come Kaari Upson, Olafur Eliasson, Tomás Saraceno, Ugo Rondinone e Carsten Höller. Aperta per visite private, che Gaddi ama condurre di persona, è volutamente «dinamica», con opere che spesso girano attraverso prestiti a istituzioni in tutta Europa, nella convinzione dell’importanza di condividerle con un più ampio pubblico possibile. Vittorio Gaddi ha raccontato a «Il Giornale dell’Arte» la storia di una delle collezioni di contemporaneo più significative del nostro Paese.

Partiamo dall’inizio: nel collezionare c’è sempre quel primo acquisto che sblocca il timore, e trasforma una passione in abitudine. Qual è stata la sua prima acquisizione? 
Il primo acquisto o meglio i primi acquisti sono stati un grande acquarello su carta e una scultura in marmo nero del Belgio di Giò Pomodoro che comprai direttamente dall’artista nel 1993, in occasione di una visita alla sua casa studio a Querceta. Con l’artista ebbi poi una frequentazione assidua e lo accompagnai a New York, quando, nel 2002 l’International Sculture Center lo premiò come miglior scultore dell’anno. Non posso considerare però questo come l’inizio della collezione, perché comprai le due opere senza alcuna ambizione collezionistica bensì con lo scopo esclusivo di arredare con delle opere che mi affascinavano una casa di campagna a Vorno, che avevo acquistato poco prima (casa che, col tempo, svuotata quasi completamente di mobili e suppellettili, è divenuta la sede principale della collezione), nelle vicinanze di Lucca. Decisivo in realtà fu l’incontro, avvenuto alcuni anni dopo e, precisamente, nel 1997, con la grande gallerista Bruna Aickelin, scomparsa nel 2020, titolare della Galleria Il Capricorno. Entrai per caso nella galleria durante un mio breve soggiorno turistico a Venezia mentre era in corso una mostra di dipinti di Vanessa Beecroft. Ne uscii con fatica. La mostra era già sold out e solo dopo qualche tempo ricevetti una lettera dalla gallerista che una delle opere, inizialmente prenotata dal direttore di un museo americano, era tornata disponibile. La comprai senza esitazioni e fu talmente grande la soddisfazione di avercela fatta che mi venne il desiderio di dare inizio a una raccolta che comunque allora immaginavo avrebbe avuto dimensioni limitate. Da Bruna Aickelin, che col tempo è divenuta una carissima amica, ho imparato davvero tanto e anche oggi le sono grato perché senza di lei e i suoi preziosissimi consigli, credo che non avrei mai iniziato ad acquistare arte contemporanea e, soprattutto, la collezione non avrebbe le dimensioni che oggi ha raggiunto.

Ha un’opera in collezione a cui è più legato?
L’opera a cui mi sento più legato è in genere l’ultima che ho acquistato e quindi cambia di continuo. Però, a essere sincero, ce ne sono due alle quali sono particolarmente affezionato: una è di Olafur Eliasson, «Meteor Shower Bike», l’altra di Tomás Saraceno, «Ring Bell Iridescent».  

Dove acquista con maggiore frequenza e quali sono le sue principali fonti di informazione per rimanere aggiornato?
Ho acquistato da molte gallerie italiane e internazionali senza però alcun condizionamento: se c’è un artista che mi interessa mi rivolgo alla galleria, italiana o straniera, che lo tratta e indipendentemente dal fatto che io abbia intrattenuto con essa dei precedenti rapporti. Poi è ovvio che con alcuni galleristi si instaurano delle relazioni più strette e quindi è più facile che presso di loro si effettuino con maggiore frequenza gli acquisti ma, lo ripeto, è l’opera e non il tipo di rapporto con il suo dealer che ispira le mie scelte. Le fonti di informazione sono molteplici: le riviste specializzate, italiane e internazionali, la visita delle mostre nelle gallerie e nei musei e in spazi pubblici e privati, le fiere, le monografie degli artisti, ma anche internet andando a visionare i siti delle gallerie e degli artisti… Persino i social come Facebook e Instagram.

Olafur Eliasson, «The Domadalur daylight series (North)», 1969. Courtesy of Collezione Gaddi

Ha un archivio completo della collezione?
Sì, ho un archivio, esclusivamente cartaceo, che curo personalmente, dove conservo ogni documento, da quelli più importanti come le autentiche, le fatture, i mezzi utilizzati per i pagamenti, le schede di prestito e le assicurazioni, a quelli meno significativi relativi a ogni lavoro acquistato.

Qual è quel fattore x che cerca in un’opera e che ritiene rilevante per la sua raccolta e per il nostro tempo? 
Sono un istintivo e quindi per spingermi ad acquistare un’opera deve scattare una scintilla, che mi faccia innamorare: questo accade però solo in presenza di opere che ritengo portatrici di «novità» e di «originalità» sotto l’aspetto formale e/o del contenuto e che quindi esprimano al meglio il principio di contemporaneità. Una regola che però ho imparato fin dall’inizio, grazie anche agli insegnamenti di Bruna Aickelin, è che un buon acquisto nasce dalla sintesi tra cuore e cervello. Cerco quindi di non lasciarmi condizionare dalla prima impressione, ma di fare approfondimenti mediante uno studio dell’artista e del suo curriculum. È vero infatti che la mia ricerca è principalmente orientata verso autori emergenti, ma è anche vero che l’ambizione di un buon collezionista è di individuare coloro che tendenzialmente hanno talento (che da solo non basta) e le capacità per arrivare, con il procedere della loro carriera, a storicizzarsi. Quindi all’innamoramento iniziale, a meno che non conosca già in maniera approfondita il lavoro dell’artista e la sua carriera, segue una fase di studio e solo al termine di questa mi decido ad acquistare o meno l’opera. Opera che dev’essere significativa all’interno della sua produzione e non un lavoro eseguito per mere esigenze di mercato.

Nella sua collezione individua uno o più temi predominanti? 
Non ci sono temi predominanti nella collezione, che è molto varia. Posso solo dire che non amo le opere esclusivamente concettuali che spesso si risolvono nel riportare tramite «un neon» dei motti. 

Un’opera che si pente di non avere acquistato. 
Immodestamente affermo che non ho rimpianti per opere che potevo acquistare e non ho acquistato, ma allo stesso tempo affermo che ho rimpianti per opere che non sono riuscito ad acquistare: ad esempio di Marlene Dumas e soprattutto di un’artista per cui ho fin dall’inizio avuto una vera e propria ammirazione, Julie Mehretu. Si tratta di artiste che, quando ho iniziato a collezionare avevano quotazioni abbastanza elevate ma ancora alla mia portata. Oggi hanno prezzi per me irraggiungibili visto che, come ho già affermato, mi interessano solo opere importanti e significative. In sostanza, quando ho avuto la possibilità economica di acquistare un lavoro di quel genere la mia collezione era pressoché sconosciuta e le gallerie di riferimento, per questo motivo, temendo che agissi per finalità speculative, preferivano inserirmi in fantomatiche liste d’attesa.

La sua collezione presenta una grande varietà in termini di medium, con installazioni e sculture di livello istituzionale. Parte delle opere sono presentate negli spazi del suo studio notarile a Lucca, mentre il resto è in una sede dedicata a Vorno con una presentazione da lei curata. La raccolta è ora visitabile su appuntamento e visibile per i suoi clienti in studio. Ha in programma di renderla pubblica in futuro, trasformandola in museo o fondazione? 
Al momento no, preferisco mantenerne le attuali caratteristiche strettamente private anche perché le visite mi piace condurle personalmente.

Arte e notariato hanno una serie di rapporti poco noti. Ci può dire di più?  
Con orgoglio, vista l’appartenenza alla categoria, mi piace ricordare che grandissimi artisti come Leonardo da Vinci, Masaccio, Giorgione, Tiziano, Velázquez, Salvador Dalí, Marcel Duchamp e Alighiero Boetti erano figli di notai e che pure il nonno di Goya era un notaio.

Tomás Saraceno, «Ring Bell Iridescent», 2014. Courtesy of Collezione Gaddi

Elisa Carollo, 24 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

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