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Anna Somers Cocks
Leggi i suoi articoliNegli Stati Uniti non perdono tempo: all’inizio di marzo, tutto sembrava andare perfettamente nel mondo dei musei americani; il 24 marzo, il Museum of Contemporary Art (Moca) di Los Angeles annunciava ai suoi 97 dipendenti part-time il loro licenziamento, il Cleveland Museum of Art tagliava dell’11-15% gli stipendi del personale fisso e il Metropolitan Museum di New York annunciava che dal 4 aprile avrebbe cominciato a ridurre il personale.
In un Paese dove rischi letteralmente la vita se non hai i soldi per pagari un’assicurazione sulla salute, il crollo delle finanze dei musei a causa del Covid-19 rappresenta una tragedia umana ben più grave che la restrizione dell’accesso all’arte. Non per niente la Robert Rauschenberg Foundation ha annunciato che sovvenzionerà fino al 5mila dollari le persone attive nel campo dell’arte che dovranno affrontare un’emergenza medica. The American Alliance of Museum prevede che il 30% dei musei negli Usa non sarà in grado di riaprire i battenti alla fine della crisi.
Max Hollein, l’energico direttore austriaco del Metropolitan, ha lanciato un movimento in favore di tutte le istituzioni per ottenere 4 miliardi di dollari dal Governo federale, contro i 2mila miliardi appena votati per affrontare l’emergenza. Questa richiesta è una rottura drastica con l’intera storia americana, perché Washington ha sempre giocato un ruolo minimale nella vita delle istituzioni culturali del Paese, lasciando il loro finanziamento a Stati, Comuni e soprattutto ai privati.
Hollein, che non riaprirà il Metropolitan fino a luglio, prevede un buco di 100 milioni nel suo budget del 2020. Con l’economia mondiale in subbuglio non crede di poterlo colmare con i soldi dei ricchi mecenati che normalmente sostengono il museo e invita alla partecipazione «social» con l’hashtag #CongressSaveCulture. Il mercato fisico dell’arte è fermo. Le fiere Frieze e 1-54 Contemporary African Art sono cancellate per 2020, mentre Tefaf Ny è posticipata da maggio a ottobre.
L’evento della primavera che eccitava maggiormente il mercato dell’arte, cioè la vendita da parte delle megagallerie Acquavella, Pace e Gagosian della collezione «blue chip» del defunto finanziere Donald Marron (stimata 450 milioni di dollari), è stata definitivamente rinviata. Le gallerie medie e piccole non sanno come pagheranno gli affitti e cercano, grazie alle piattaforme online, di portare avanti i propri affari e di sostenere i loro artisti.
Chi non se lo può permettere, espone la sua arte sul sito della potente piattaforma Artsy, che però ha scelto proprio marzo per aumentare il costo: da 375 dollari al mese a 650. Una veterana dei galleristi newyorkesi come Marianne Boesky ha deciso che in questo momento epocale le pretese devono ridimensionarsi. Ha «casa e bottega» sulla 24ma strada e ha dichiarato che farà visite guidate online in vestaglia nella sua galleria.
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