Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Image

Montefortino, uno dei borghi delle Marche che esemplifica la dimensione del turismo slow e dell’equilibrio tra uomo, arte e natura

© Turismo Marche

Image

Montefortino, uno dei borghi delle Marche che esemplifica la dimensione del turismo slow e dell’equilibrio tra uomo, arte e natura

© Turismo Marche

Una triade nel cuore delle Marche per la nascita di un nuovo Umanesimo

Nella regione, che è un museo diffuso fatto di antichi borghi e di arte dal Medioevo al contemporaneo, la crescita culturale, sociale, economica e turistica passa dalla conoscenza, dalla tutela e dalla valorizzazione, che solo insieme, e in questo ordine, possono portare benessere e ricchezza materiale e spirituale

Maria Letizia Paiato

Leggi i suoi articoli

Storica dell’arte, professoressa ordinaria di Storia dell’arte moderna all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Anna Maria Ambrosini Massari è autrice di pubblicazioni e mostre dedicate al Cinquecento e al Seicento, con particolare riferimento ad artisti come Raffaello, Federico Barocci e Simone Cantarini. Ricercatrice attenta agli aspetti che legano pittura, grafica e collezionismo, ha contribuito agli studi sul territorio compreso tra le Marche e Bologna, offrendo uno sguardo innovativo sulla produzione artistica nei secoli passati e sullo spirito di questi luoghi, tutt’altro che ai margini rispetto ai grandi centri di elaborazione culturale. Dirigente del Centro di ricerca dell’Università di Urbino InArtS (International Art Sources: Digital Humanities for Urbino Renaissance) e della collana editoriale «Fonti e Studi per la storia dell’arte e del collezionismo» (Ancona, Il Lavoro editoriale), membro del Comitato scientifico di Palazzo Ducale (Galleria Nazionale delle Marche, Urbino) e del Comitato scientifico della Fondazione Federico Zeri (Università di Bologna), è stata insignita nel 2025 del Premio Pasquale Rotondi per i Salvatori dell’Arte, sezione speciale «L’Arte che salva l’umanità».

Anna Maria Ambrosini Massari, come valuta il patrimonio artistico e culturale delle Marche e che cosa manca rispetto al passato?
Affermare quanto il patrimonio marchigiano sia ricco potrebbe sembrare ovvio e scontato. Tuttavia non fa male ricordare in che termini e perché. Esso è considerevole non solo per il numero di importanti oggetti e opere d’arte conservate nei musei, nelle biblioteche, nei palazzi, nelle chiese, negli enti di cultura, ma anche per l’incredibile equilibrio fra centro e periferia, fra borgo e campagna, fra costa ed entroterra, un’armonia che storicamente interessa il suo paesaggio e che rende ancora oggi questa regione esemplare per una giusta interazione uomo e ambiente. Sarebbe molto importante, per tutti i soggetti coinvolti nei processi di conoscenza, tutela e valorizzazione, partire da questa ovvia considerazione, averne piena consapevolezza, perché aiuterebbe a lavorare meglio per un sano sviluppo del territorio. Manca un lavoro più sinergico fra le realtà che operano a vario titolo, mancanza che rende il tema della valorizzazione spinoso e sbilanciato.

Qual è la sua visione della valorizzazione?
La valorizzazione può incidere solo se è in questa sequenza: dopo conoscenza e tutela, altrimenti è un vuoto esercizio di spettacolo e vetrina che non aiuta le persone alla comprensione dell’identità del territorio, della sua complessità e ricchezza. Per la mia esperienza posso affermare che il pubblico ha grande desiderio di conoscenza, molto più di quello che spesso le amministrazioni immaginano. È un’idea malsana quella della cultura come divertimento, va recuperato il nesso fra conoscenza e valorizzazione, anche per riorganizzare il rapporto con il turismo. L’idea che tutto si debba svolgere nell’ottica della valorizzazione è zoppa, mancano storici dell’arte nelle posizioni necessarie a mediare fra formazione e valorizzazione e a fare ricerca, a generare progettualità sul tema della conoscenza del patrimonio in modo che possa essere fruito nel modo giusto, lontano dalla logica del consumo.

Come si coniugano cultura ed economia?
Non si coniugano, è una chimera pericolosa. La fantasia del matrimonio impossibile fra arte ed economia, maturata fra gli anni Ottanta e Novanta, ha persuaso molti operatori della cultura ad agire in modo esclusivamente manageriale. Sono aspetti che fanno parte di un circuito virtuoso del patrimonio artistico, capace di generare indotto e così via, ma non devono essere in diretta dipendenza e rendere il patrimonio artistico strumento e vetrina. Occuparsi di patrimonio artistico e culturale significa innanzitutto agire in un ambito umanistico, il cui capitale è soprattutto quello umano e di conoscenza: l’obiettivo è l’individuo, la sua crescita e la sua formazione, la crescita della comunità senza uno scopo meramente economico. Bisogna riproporre una rivoluzione umanistica dove l’economia deve fare investimenti non con i criteri imprenditoriali ma con quelli del benessere delle comunità, va approfondito il tema di welfare culturale, vanno abbandonate le vecchie logiche dell’impresa della cultura, dell’economia della cultura, dell’evento che attira orde di popoli, altrimenti assisteremo alla morte e allo sfruttamento sterile di realtà variegate e composite come quelle delle nostre amate Marche.

Qual è il ruolo delle amministrazioni e degli enti pubblici e il loro legame con quelli del territorio?
In questo settore le amministrazioni non sono particolarmente favorite e anche le Soprintendenze soffrono particolarmente. La burocrazia è soffocante e manca il personale, non ci sono risorse adeguate. Tuttavia, in questi ultimi anni sono stati messi a frutto con ottimi risultati i finanziamenti del Pnrr, soprattutto in restauri e nella messa in sicurezza del patrimonio danneggiato dal terremoto del 2016, ma non solo. Molto lavoro è da fare e ancora in corso, conosco direttamente l’impegno della Soprintendenza di Ancona con cui ho collaborato in diverse occasioni, in particolare con la soprintendente Cecilia Carlorosi, tanti sono i cantieri. Tra le iniziative più interessanti avviate dopo il lockdown dalla regione con il Pnrr vi è il recupero dei borghi, con esempi emblematici come il caso di Montalto Marche. Certo poi si dovranno valutare gli esiti e le destinazioni dei progetti, una collaborazione sinergica fra gli enti può condurre a risultati concreti e durevoli molto più di iniziative singole e sporadiche o di nuove realtà poi lasciate a sé stesse. Tra le molte iniziative di Pesaro Capitale della Cultura, ho molto apprezzato la condivisione con le altre città e paesi della provincia di una settimana di turnazione come «capitali», con progetti e iniziative che ne hanno evidenziato le rispettive caratteristiche e uno speciale focus sul patrimonio. Sono esperienze che non dovrebbero essere occasionali e legate all’evento. Solo la messa a punto della triade conoscenza-tutela-valorizzazione può portare a risultati concreti nella crescita del territorio, a un’effettiva ricaduta per il benessere delle comunità e a un’adeguata promozione turistica. Esempi ammirevoli non mancano, per esempio il virtuoso lavoro svolto da Luigi Gallo, dal 2020 direttore della Galleria Nazionale delle Marche e della Direzione regionale Musei Marche, grazie a importanti progetti di restauro e riqualificazione, che hanno introdotto nuove percezioni del museo e della sua profonda connessione con la vita e il contesto, in relazione con la comunità e le esigenze dei giovani, degli studenti, dei cittadini e più in generale del pubblico e dei turisti, a partire da Palazzo Ducale di Urbino, ma anche nelle altre realtà museali connesse, come il bellissimo Museo Archeologico Nazionale delle Marche che ha sede in Ancona. La densa attività di mostre è sempre stata condotta in parallelo e mai in sovrapposizione con lo studio, la risistemazione e riallestimento delle collezioni, con la definizione di una nuova immagine del Museo non più solo tempio del Rinascimento, ma narrazione della storia dell’arte e degli artisti tra Medioevo, era moderna e contemporanea.

Quanto è importante la collaborazione con la ricerca universitaria?
È fondamentale, come posso testimoniare in prima persona citando almeno la grande mostra monografica su Federico Barocci e la sua stretta relazione con le ricerche del Centro di digitalizzazione di fonti e documenti InArtS dell’Università di Urbino. Sul fronte della ricerca per il nostro patrimonio va segnalata una vera e propria ondata di bandi, ministeriali, regionali, talora di privati che, se pur con i limiti burocratici, hanno veicolato possibilità di ricerca, studio, esposizioni, impegnato giovani e radicato professionalità e progetti in una dimensione più continuativa. Si dovrebbe lavorare verso una maggiore sinergia soprattutto con le Università, per fare acquisire agli studenti un profilo spendibile nel versante dei beni culturali e del patrimonio. Solo dalla conoscenza del nostro patrimonio, da investimenti continui e per progetti non effimeri può nascere un’identità rinnovata e potenziata che esprima al meglio le specificità del territorio che da sole traghettano le Marche in una dimensione anche internazionale.

Che cosa pensa dell’internazionalizzazione?
È una conseguenza di un lavoro ben fatto sul territorio, perciò vanno messe a sistema ricerca, conoscenza e competenza, tutela e valorizzazione. Se si spezza questo meccanismo, si rischia di avere anche nell’ambito dell’internazionalizzazione un progetto «spot» che difficilmente concorrerà a una reale crescita della collettività.

Qual è la sua idea di turismo?
Il territorio dovrebbe cercare di avere più consapevolezza di sé e non voler essere altro da sé. Guardare al passato, esserne consci, apprendere, significa anche collocarsi nel presente. Un turismo lento e consapevole è la giusta chiave di interpretazione per le Marche, dove qualsiasi borgo riesce ad avere sui visitatori pari impatto visivo ed esperienziale di un centro più grande e già culturalmente riconosciuto a livello internazionale come, ad esempio, Urbino. Le proposte sono tante e anche molto selezionate nelle diverse possibilità offerte dal patrimonio artistico del nostro territorio, con una ricerca ammirevole di equilibrio tra arte, paesaggio, ambiente e contesti culturali, folklore e cibo. L’idea di un museo diffuso, formato dal patrimonio, anche immateriale, e dal paesaggio, deve essere un legittimo stimolo per ritrovare una nuova collaborazione fra pubblico e privato.

Come sono cambiate le forme di mecenatismo nel tempo?
È importante insistere sul nesso conoscenza, tutela e valorizzazione, perché in questo modo anche potenziali mecenati possono interessarsi all’arte, non solo per un’attitudine o passione personale ma meglio veicolati dai vari enti. Casi emblematici non mancano, sono tanti gli imprenditori attenti e sensibili. Guardando ancora a Pesaro, la mia area di origine e vita, un unicum nel suo genere è il recupero di Palazzo Perticari Signoretti, ad
opera dell’imprenditore Franco Signoretti: un progetto pensato per creare un luogo dedicato alla comunità, all’arte per la comunità. Il palazzo, allestito con le raccolte del proprietario messe a disposizione del pubblico gratuitamente anche con mostre e iniziative variegate, offre anche una biblioteca specialistica di storia dell’arte inserita su Opac, ha creato una collana di studi e finanzia le ricerche di giovani studiosi, a partire dagli studi post-universitari, un caso piuttosto unico per la sua completa consacrazione alla conoscenza e allo studio, nonché alla valorizzazione storico-artistica per la comunità di un pubblico il più vario possibile. Ci sono senza dubbio altri esempi, la Fondazione Ermanno Casoli di Fabriano che opera già da anni soprattutto nel settore dell’arte contemporanea con l’importante contributo di specialisti come Marcello Smarrelli, o impegni come quello degli armatori Montanari di Fano che hanno creato la Mediateca al centro della città, ora gestita come Fondazione dal Comune. Dopo gli anni d’oro in cui le Fondazioni bancarie hanno avuto un peso dirimente per gli interventi anche nel settore artistico, oggi si deve operare sul piano di nuove tipologie di collaborazioni, fermo restando che le Fondazioni svolgono ancora un ruolo, se pur molto diverso che nel passato, indispensabile e sensibile per le esigenze del patrimonio artistico, con grande attenzione alle politiche giovanili. Ma, a parte casi di mecenatismo rari e singolari come quelli citati, è sul terreno delle collaborazioni per stage, borse di studio o in qualche singolo progetto che si gioca il rapporto di collaborazione con l’area dei privati. Una situazione che ha messo a nudo le contraddizioni: sono favoriti soprattutto i progetti di stampo economico, quelli artistici trovano molte più difficoltà di applicazione, in particolare nella ricerca universitaria. Serve il riscatto dei valori umanistici, investimenti che creino rendimento con la loro ricaduta per il benessere della comunità, la crescita individuale e collettiva, la crescita di valori antitetici a quelli della brutalità, della violenza, della competizione, con il solo fine di virtù e conoscenza, come insegnava Dante. Una strada che necessita di stimoli dall’alto per ritrovare una centralità perduta e anche gli investimenti necessari.

Maria Letizia Paiato, 19 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

Altri articoli dell'autore

A Palazzo Baldeschi 100 delle 1.700 copertine in pergamena dal XIII al XV secolo della Collezione Albertini, acquistata in asta dalla Fondazione Perugia, dialogano con 40 opere di 18 artisti

Palazzo della Penna riafferma la sua vocazione di Centro per le Arti Contemporanee raccontando il superamento della figurazione nel secondo dopoguerra

Le celebrazioni, previste per tutto il 2025, iniziano con una collettiva sul rapporto tra arte e agricoltura e le personali di Jacopo Miliani e Francesco Cavaliere

Alla Fondazione La Rocca di Pescara è allestito un corpus di lavori dell’artista genovese sull’importanza della memoria personale e collettiva

Una triade nel cuore delle Marche per la nascita di un nuovo Umanesimo | Maria Letizia Paiato

Una triade nel cuore delle Marche per la nascita di un nuovo Umanesimo | Maria Letizia Paiato