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Olga Scotto di Vettimo
Leggi i suoi articoliOtto lavori di Giulio Paolini compongono la mostra «Fuori dal quadro» (dall’8 marzo fino al 24 aprile) alla Galleria Alfonso Artiaco, nel Palazzo de Sangro di Vietri. I riferimenti alla storia della pittura (Watteau, Manet, de Chirico), all’arte antica (Policleto, Pompei) e alla mitologia (Icaro e Antiope), quindi ai «classici», emergono nel lavoro di Paolini come strumenti d’indagine e di verifica delle ragioni dell’esistenza dell’opera e del suo farsi attraverso lo sguardo di chi la osserva.
Questa è la lente con cui osservare «Vis-à-vis (Amazzone) (I)» (2019); «Fuori tempo (II)» (2021); il collage «La caduta di Icaro» (2020; nella foto); «Giove e Antiope» (2016-21), tela inedita che riprende il dipinto di Jean-Antoine Watteau; la serie di dipinti «Piazza d’Italia (I)», «Piazza d’Italia (II)» (2001) e «Piazza d’Italia (III)» (2002), omaggio dell’artista a Giorgio de Chirico e gioco di scomposizione degli elementi che fa emergere solo alcuni indizi iconografici.
Nei cinque collage «Senza titolo (Pompei)» (2020-21) e nell’inedito «Nello stesso punto» (2021), inoltre, Paolini indaga il tema della distanza, che appartiene all’antico, all’archeologico, alla rovina, da lui intesi come «una lontananza che non può essere avvicinata. Sono quel tipo di fascinazione che emana da qualcosa d’intangibile appartenente alla nostra memoria».
Infine nell’opera inedita «In scena (Gilles)» (2021), riproduzione fotografica del personaggio dipinto da Watteau in «Pierrot, dit autrefois Gilles» (1718-19), l’artista declina la «distanza» più propriamente come assoluta condizione esistenziale: «Gilles guarda, semplicemente guarda, figura assente, inconsapevole, di fronte a noi con assoluta innocenza, si affida al nostro sguardo»

«La caduta di Icaro» (2020), di Giulio Paolini
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