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Parte del carico del galeone spagnolo «San José», che giace a 600 metri di profondità al largo della Colombia

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Parte del carico del galeone spagnolo «San José», che giace a 600 metri di profondità al largo della Colombia

Tutti vogliono il tesoro del «San José»

Il Governo colombiano punta a riportare in superficie il galeone affondato nel Mar dei Caraibi nel 1708. Sul prezioso contenuto, stimato intorno ai 17 miliardi di dollari, le rivendicazioni della Spagna, degli americani, che negli anni ’80 avevano individuato l’imbarcazione spagnola, e di un gruppo di indigeni boliviani. I timori degli archeologi

Dopo quarant’anni di dispute internazionali sul diritto di recuperare il prezioso contenuto del relitto, il galeone spagnolo «San José», affondato al largo delle coste colombiane nel 1708, potrebbe finalmente vedere la luce. Il presidente colombiano Gustavo Petro vuole riportarlo in superficie prima della scadenza del suo mandato nel 2026 (l’operazione dovrebbe partire tra aprile e maggio con una spesa stimata di 4,5 milioni di dollari, Ndr), mentre la Spagna cerca di ottenere la proprietà del galeone come parte del suo patrimonio culturale e la società statunitense Sea Search Armada chiede la sua parte per averlo individuato negli anni ’80. Nel contempo, un gruppo di indigeni locali boliviani (Qhara Qhara) vorrebbe che una parte del bottino della nave venisse utilizzata a titolo di risarcimento, poiché i loro antenati furono costretti a estrarre i metalli preziosi con lo sfruttamento e la violenza. Contemporaneamente, la comunità mondiale degli archeologi subacquei teme che il tentativo di rimuovere la nave dal sito dopo oltre 300 anni possa distruggerla e con essa anche la sua storia.

Il galeone «San José» veniva affondato dalla Marina britannica durante la guerra di successione spagnola (nel naufragio morirono circa 600 persone). A dicembre 2015 fece scalpore l’annuncio da parte della Colombia del ritrovamento del relitto nel Mar dei Caraibi, vicino a Cartagena. Ma nel mondo dell’archeologia marina la scoperta non era una novità: una società di recupero aveva già affermato di aver scoperto la posizione del «San José» all’inizio degli anni ’80, dando il via a una serie di battaglie legali sui diritti di recupero. Difficile quantificare il valore delle gemme e dei metalli preziosi a bordo del galeone perché non esistono documenti che ne indichino il contenuto. 

Tuttavia, Sea Search Armada, gruppo di investimento con sede negli Stati Uniti che ora possiede la società di recupero responsabile di aver dato il via a questa avventura, ha stimato il suo valore in circa 17 miliardi di dollari e sostiene di avere diritto alla metà dell’importo, per aver rivelato subito al Governo colombiano la posizione della nave. «Si tratta del più importante relitto del periodo coloniale», afferma James Sinclair, archeologo subacqueo e cacciatore di relitti con sede in Virginia, che ha recentemente lavorato al progetto finanziato dal filantropo ed esploratore subacqueo Carl Allen: quest'ultimo nel 2022 ha aperto un museo alle Bahamas per mostrare i ritrovamenti del galeone spagnolo «Nuestra Señora de las Maravillas» (anche Petro ha espresso la volontà di realizzare un museo). «Se si considera solo il valore del tesoro, si perde il quadro generale, spiega Sinclair. Più grande è il tesoro, più grandi sono i problemi. E ci sono molte persone che vogliono metterci sopra le mani». 

L’imbarcazione si trova a circa 600 metri di profondità (e forse anche di più) ed è inaccessibile all’esplorazione umana. Nel 2015 la Marina colombiana ha utilizzato un veicolo subacqueo telecomandato per esaminare il relitto e da allora ne ha mantenuto segreta la posizione per timore dei pirati. Secondo molti storici, archeologi, ricercatori e scienziati marini, portare in superficie la nave sarebbe una mossa sbagliata. «Certo, il tesoro può essere una giustificazione, ma uccide l’archeologia, afferma Piotr Bojakowski, professore del dipartimento di Archeologia navale della Texas A&M University. Se si tratta solo di cercare l’oro, ciò che si perde è la capacità di studiare il sito». E aggiunge: «Nessuno parla di quanto costerà recuperare il relitto». 

«La battaglia di Wager al largo delle coste di Cartagena, 28 maggio 1708», di Samuel Scott

Oltre ai costi elevati, c’è il rischio che il galeone venga completamente distrutto durante le operazioni, quindi non rimarrebbe nulla da studiare. Ed è per questo che accademici e archeologi di svariate università colombiane si sono mobilitati e a novembre 2023 hanno inviato una lettera a Juan David Correa, ministro della Cultura colombiano, chiedendo che il recupero della nave sia effettuato sotto la guida di esperti e scienziati e non sfruttato solo per fini economici a breve termine. Un’ulteriore lettera, datata 12 dicembre, è stata sottoscritta da oltre 20 archeologi e studiosi colombiani di spicco, tra i quali Juan Guillermo Martín Rincón, professore e direttore del Museo di Archeologia dell’Universidad del Norte di Barranquilla: lo studioso afferma che le missive sono state necessarie a causa dell’«insistenza del Governo procedere a un intervento sul relitto senza un progetto di ricerca, né un laboratorio di conservazione in grado di garantire l’integrità dei manufatti che si intendono estrarre». 

Inoltre, sostiene che la squadra navale che Petro vuole impiegare non ha né la formazione né l’esperienza per un progetto archeologico di questo tipo. Martín Rincón aggiunge anche che l’anno scorso Petro si è reso disponibile a restituire parte del carico del galeone ai Qhara Qhara, senza contare che gli oggetti a bordo, sommersi sotto tonnellate di acqua salata per centinaia di anni, non possono essere depositati immediatamente in banca. Nel 2012, dopo cinque anni di cause legali, una società americana specializzata nel recupero di relitti ha dovuto consegnare alla Spagna monete d’oro e d’argento del valore di circa 500 milioni di dollari prelevate dal naufragio della «Nuestra Señora de las Mercedes». Nel 2019 il Ministero della Cultura spagnolo ha stilato un inventario di 681 relitti di navi su cui il Paese vanta diritti, tutti affondati nelle Americhe tra il 1492 e il 1898. 

In quanto nave militare, la «San José» è considerata di proprietà spagnola ai sensi della Convenzione dell’Unesco del 2001 sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo. La Convenzione fornisce un quadro comune per i Paesi che cercano di identificare e proteggere il proprio patrimonio, dato che le minacce che incombono sui siti subacquei includono il cambiamento climatico e i cacciatori di tesori. La Colombia, tuttavia, non ha mai firmato la Convenzione del 2001. Inoltre, poiché la «San José» si trova in acque colombiane, il Paese considera la nave parte del proprio patrimonio, anche se la maggior parte dei beni a bordo proveniva da Perù, Bolivia e altri Paesi. Invece di affidarsi all’Unesco, la Colombia disponeva già di una propria normativa sul patrimonio subacqueo. 

Nel 2013, il Paese ha emanato un’ulteriore legge sul patrimonio culturale sommerso, che ha messo in discussione le precedenti restrizioni sui cacciatori di tesori e ha posto le basi per il recupero commerciale legale della nave «San José». «Se lo studio del relitto del “San José” viene affidato ad archeologi esperti, non vedo alcun rischio in un’operazione del genere, afferma Michel L’Hour, archeologo subacqueo francese esperto di robotica ed ex membro dell’organo consultivo tecnico scientifico della Convenzione Unesco del 2001. La prima cosa da ricordare è che l’interesse di un relitto archeologico o storico non risiede assolutamente nel suo attuale valore di mercato. Che la nave trasportasse lingotti d’argento nel 1708, vasellame di terracotta nel 1545, sale nel 1312 o pietre utilizzate nel II secolo a.C. per la costruzione di un tempio romano,  il suo interesse non cambia in quanto testimone insostituibile di una pagina della storia dell’umanità».

Ruth Lopez, 26 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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