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Tutta la potenza di Boccioni

Elena Pontiggia

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I cataloghi generali degli artisti si dividono in due categorie: quelli che si realizzano e quelli che non si realizzeranno mai. Ci sono grandi maestri di cui è altamente improbabile la pubblicazione dell’opera omnia, che magari viene progettata, annunciata, avviata ma poi abortisce per tante ragioni, come la difficoltà di individuare le opere e reperire le fotografie necessarie, il disaccordo fra gli eredi o, soprattutto di questi tempi, l’impegno economico, visti i costi proibitivi dell’impresa. A volte, poi, sono i cataloghi generali che impediscono la pubblicazione del catalogo generale. Non è un gioco di parole: certi regesti anche eccellenti di mezzo secolo fa (pensiamo, per esempio, al Licini di Marchiori) avrebbero bisogno di un aggiornamento, ma i critici non vi mettono mano, intimiditi appunto dal lavoro già esistente.

A queste nefaste categorie sfugge per fortuna l’arte di Umberto Boccioni, di cui nel 1983 era già uscita la fondamentale Opera completa, curata da Maurizio Calvesi ed Ester Coen, mentre oggi esce Boccioni. Catalogo generale, firmato sempre da Calvesi e da Alberto Dambruoso, con la collaborazione di Sara De Chiara. Se consideriamo che negli ultimi dieci o quindici anni sono stati pubblicati il Catalogo ragionato delle incisioni, degli ex libris, dei manifesti e delle illustrazioni (Bellini 2004), importanti studi specifici sulla scultura (Sansone 2006; Mattioli Rossi 2006), sui disegni (Rossi-Contò 2016), su singole stagioni dell’artista (Baradel 2007) o addirittura su sue singole opere, per non parlare dell’edizione critica delle lettere (Rovati 2009), di una nuova biografia (Agnese 2016) e di infiniti altri contributi; se consideriamo tutti questi studi, dunque, possiamo dire che sul padre della pittura futurista disponiamo di una documentazione esauriente, se non esaustiva. Al netto, si intende, dei contrasti fra specialisti che sono tutt’altro che placati, anzi sono in crescendo.

Di tante ricerche tiene conto la nuova edizione del catalogo generale: una «edizione del Centenario», perché idealmente conclude le commemorazioni di Boccioni a cent’anni dalla sua tragica scomparsa, avvenuta a Sorte presso Verona nel 1916. A proposito, il catalogo recepisce le informazioni degli ultimi carteggi dell’artista, da poco ritrovati. È noto che Boccioni è morto cadendo da cavallo. Tuttavia, precisa Calvesi, la disgrazia non fu causata, come si diceva, «da una temeraria esuberanza (aver sfidato un cavallo particolarmente riottoso e ribelle)», ma da uno stato di depressione dell’artista, provocato dal timore di perdere la donna che allora amava. Fu la sua acuta malinconia a spingerlo a una fatale passeggiata su una puledra, che di solito era tranquillissima, ma quel giorno si impennò all’improvviso.

Il libro raccoglie circa millecentocinquanta opere, tra quadri, sculture, disegni e grafiche che Boccioni ci ha lasciato nella sua breve esistenza, troncata a trentaquattro anni. È un numero relativamente esiguo se si pensa, ad esempio, ai trentatré volumi e alle oltre 16mila opere del catalogo generale di Picasso, curato da Christian Zervos e recentemente ristampato. Tuttavia, senza tentare paragoni impropri, si resta catturati dalla potenza dell’arte di Boccioni. Di lui si può dire quello che D’Annunzio diceva di sé: era un «professore di energia». Il senso travolgente del movimento che si ritrova nella miglior parte delle sue opere, la potenza architettonica della sua ultima stagione troppo presto interrotta, l’espressionismo covato sotto la superficie di tanti suoi lavori fanno di lui un artista che davvero «fece cambiare rotta alla placida e modesta crociera dell’arte italiana di allora», come scrisse il suo amico Sironi.

Prima però di aprire il catalogo, diciamo due parole sugli autori. Calvesi, che in questo 2017 festeggia i novant’anni (il risvolto della copertina educatamente non lo dice, ma ai tempi di internet l’età non è più un mistero per nessuno), non ha bisogno di presentazioni, per usare una frase fatta. Il suo primo volume su Boccioni, firmato con Argan, è del 1953, ma la sua conoscenza del mondo futurista risale addirittura all’infanzia. Cioè a quando, nel 1934, abitava a Roma in via Oslavia 39, proprio sotto l’appartamento di Balla. Lo incontrava sulle scale, d’estate riceveva le cartoline che il maestro delle Compenetrazioni iridescenti spediva da Fara Sabina «al bambino Maurizio Calvesi», e nel 1934 la figlia Elica gli aveva fatto un ritratto che lo stesso Balla aveva rifinito. Intorno al 1942-43, poi, aveva conosciuto Marinetti, a cui aveva mostrato le proprie poesie. Ma i meriti futuristi dello studioso non si limitano certo a queste esperienze giovanili: Calvesi è stato fra i primi a capire il valore di Boccioni e compagni quando era ancora misconosciuto, non solo, come ci si potrebbe aspettare, dai critici tradizionalisti, ma anche da quelli d’avanguardia, che lo accusavano di «ristrettezza ideologica» e di «cattivo gusto» cromatico.

Quanto ad Alberto Dambruoso, che molti conoscono per gli interessanti studi sulla Pop art romana, si occupa di Boccioni da una decina d’anni, spesi appunto nella compilazione del Catalogo generale di cui ha curato le oltre mille schede e i testi critici che ne introducono le varie sezioni. 

Il volume si apre con una nutrita serie di saggi di Calvesi, quasi tutti ripresi dal precedente Boccioni. L’opera completa o da altri suoi cataloghi, e qui riproposti. Sono interventi ormai classici che si rileggono sempre con interesse, anche se la loro data di nascita, riportata alla fine di ogni saggio, va tenuta presente (come quando accennano a lettere inedite di Boccioni a Papini: oggi sono ben note, ma Calvesi scriveva nel 1983, quando erano effettivamente sconosciute).

Sono oltre centocinquanta le opere nuove inserite nel corpus boccioniano: aggiunte non da tutti condivise, come spesso capita, e che in certi casi susciteranno polemiche. Pensiamo al «Ritratto d’uomo in divisa da artigliere», un olio del 1916 che alcuni critici considerano non di Boccioni ma di Emilio Notte. La scheda ci avverte però della divergenza dei punti di vista, menzionando l’attribuzione al futurista pugliese e concludendo: «Calvesi trova inattendibile l’ascrizione a Notte di un dipinto di siffatta forza plastica e intensità psicologica». Gli studiosi, insomma, hanno gli elementi per giudicare da sé. Il catalogo, del resto, procede anche per via di levare, espungendo un paio di dipinti presenti nell’Opera completa e non accogliendo altre attribuzioni. E anche qui è facile prevedere polemiche. 

Al di là di questi dati filologici, comunque, la prima cosa che si nota nel volume e che lo differenzia dai più diffusi cataloghi generali, è la divisione in sezioni tematiche, ordinate cronologicamente. Sono dieci: il paesaggio dalla campagna alla città; il ritratto; le figure femminili tra le mura domestiche; gli autoritratti; la madre; le tavole per le illustrazioni e la pubblicità; i riferimenti letterari e allegorici; il futurismo; le ultime opere; gli studi preparatori e gli altri soggetti. Funziona questa insolita scelta? Non sappiamo in altri casi, ma qui ci pare di sì. Non è una soluzione facilmente ripetibile, ma in questo caso la suddivisione non affatica lo studioso che ha la necessità di controllare il percorso cronologico di Boccioni, perché tutta la sua stagione futurista (1910-15), a cui segue l’epoca breve ma intensissima della prima metà del 1916, è raccolta in un blocco compatto, ordinato anno dopo anno. E, grazie alle sezioni tematiche, il catalogo generale si trasforma in una enciclopedia boccioniana che ci restituisce i soggetti più amati dall’artista, le sue passioni, le sue ossessioni. Insomma, il suo mondo.

Umberto Boccioni 
Catalogo Generale delle Opere
a cura di Maurizio Calvesi e Alberto Dambruoso
2 volumi, 880 pp.
1.400 ill. col. e b/n
Umberto Allemandi
Torino 2016
€ 300,00

Elena Pontiggia, 01 marzo 2017 | © Riproduzione riservata

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