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Una veduta dell'allestimento della mostra alla Galleria Borghese con il «Cavaspina» del XVI secolo e, sullo sfondo a destra, «Susanna e i vecchioni» (1606-07) di Rubens. Foto A. Novelli © Galleria Borghese

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Una veduta dell'allestimento della mostra alla Galleria Borghese con il «Cavaspina» del XVI secolo e, sullo sfondo a destra, «Susanna e i vecchioni» (1606-07) di Rubens. Foto A. Novelli © Galleria Borghese

Tutta la modernità di Rubens

Due mostre a Mantova e una a Roma mettono efficacemente in luce la sensibilità del pittore che, guardando al passato e confrontandosi con il presente, finì col biasimare ogni guerra

Dalma Frascarelli

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Non sempre sono necessari gli anniversari per celebrare i maestri o i momenti importanti della storia dell’arte e della cultura. In alcuni casi virtuosi le manifestazioni scaturiscono dai risultati della ricerche svolte dagli studiosi nel corso di anni. Esempio di questa casistica è il progetto «Rubens! La nascita di una pittura europea» che ha reso il 2023 un anno particolarmente fecondo per la conoscenza del grande pittore e intellettuale nordico sul quale si è concentrata l’attenzione della critica nell’ultimo decennio.

L’iniziativa è stata preceduta dalla mostra milanese «Pietro Paolo Rubens e la nascita del Barocco» del 2016, a cura di Anna Lo Bianco, il convegno internazionale «Rubens e la cultura italiana: 1600-1608», curato da Raffaella Morsella e Cecilia Paolini nel 2018, e la mostra genovese «Rubens a Genova» del 2022 con la curatela di Nils Büttner e Anna Orlando, per citare solo alcuni dei momenti salienti delle recenti indagini sull’artista.

Frutto della collaborazione tra la Fondazione Palazzo Te, il Palazzo Ducale di Mantova e la Galleria Borghese, il progetto ha visto in programma l’allestimento di tre eventi espositivi, conferenze e un convegno internazionale, tra Mantova e Roma, le città che hanno giocato un ruolo decisivo nel soggiorno italiano (1600-08) e nell’attività del pittore. La mostra «Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà», curata da Raffaella Morselli con la collaborazione di Cecilia Paolini, propone fino al 7 gennaio 2024 oltre 50 opere, con prestiti internazionali, distribuite nelle 12 sezioni che si susseguono lungo il percorso museale. Tema centrale dell’esposizione è il dialogo che Rubens, appena arrivato in Italia, allacciò con l’arte di Giulio Romano, genius loci di Palazzo Te.

Lo studio degli affreschi e dei disegni del pittore raffaellesco costituì una fonte privilegiata attraverso la quale Rubens approfondì la conoscenza del mondo classico, del mito e dell’arte rinascimentale prima di vedere a Roma la scultura antica, l’opera di Raffaello e quella di Michelangelo. La reinterpretazione dei modelli classici formulata da Giulio Romano, richiamo costante nell’intera produzione del pittore nordico, costituì un duraturo punto di riferimento non solo formale ma anche e soprattutto metodologico, trasmesso ai suoi allievi e collaboratori.

Grande attenzione è dedicata alla grafica: disegni, stampe e, in particolare, splendide matrici che raramente vengono offerte all’ammirazione del pubblico. Si tratta delle lastre metalliche incise da autori mantovani, come Giorgio Ghisi, che ebbero il merito di diffondere le invenzioni di Giulio Romano nel Nordeuropa a partire dagli anni ’40 del Cinquecento. È attraverso fonti figurative di questo tipo che il giovane Rubens ebbe l’opportunità di indagare il mondo antico anche attraverso la lettura che ne aveva dato il Rinascimento italiano. Conoscitore della lingua latina che aveva studiato negli anni della sua formazione ad Anversa, Rubens era un avido lettore di testi classici che in alcuni casi illustrò nelle edizioni stampate dall’amico Balthasar Moretus e che amò raccogliere nella sua ricca biblioteca.

La profonda conoscenza della cultura classica e della filosofia, in particolare dello Stoicismo e del Neostoicismo, gli consentì di elaborare iconografie destinate ad avere grandissimo successo, come quella di Eraclito e Democrito, raffigurati nel 1603 in una tela oggi conservata a Valladolid ed esposta in mostra. La capacità di reinterpretare il mito, grazie anche all’esempio offerto da Giulio Romano, distinse l’intera produzione del maestro nordico che la tramandò anche ai suoi allievi, come dimostra la decorazione eseguita da Jordaens intorno al 1652 per il soffitto di una stanza del proprio appartamento ad Anversa, ricostruito, in occasione della mostra, in una sala di Palazzo Te. Dedicata al racconto di Amore e Psiche, affrontato da Raffaello nella villa di Agostino Chigi e poi da Giulio Romano nella residenza mantovana, la serie delle tele dipinte da Jordaens denota la conoscenza di quei modelli, senza, tuttavia, averli mai visti, non avendo compiuto viaggi in Italia. Attraverso l’insegnamento del suo maestro ebbe sicuramente occasione di entrare in contatto con quel mondo figurativo e soprattutto di acquisire il metodo di rielaborazione personale di tale mondo.

L’inedito approccio che Rubens ebbe con la cultura classica è il tema di fondo della mostra «Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma», a cura di Francesca Cappelletti e Lucia Simonato, nella Galleria Borghese fino al 18 febbraio 2024. Se l’argomento centrale dell’esposizione, articolata in otto sezioni, è la costante rielaborazione della scultura antica studiata a Roma dal pittore nordico, non sono tuttavia trascurate le suggestioni tratte da artisti come Tiziano e Leonardo, presente con uno straordinario disegno, o dai contemporanei come Caravaggio. Attraverso la reinterpretazione dei modelli classici, mai copiati pedissequamente, Rubens intende proporre l’antico come paradigma non solo formale, ma anche e soprattutto etico. Esaltando la capacità narrativa della pittura, il pennello di Rubens dona vita alle statue, ma anche alle parole, al racconto e al mito com’è possibile osservare nella celebre «Morte di Seneca» (Museo del Prado) che trae ispirazione dagli Annales di Tacito e da una statua ritenuta una raffigurazione del suicidio del filosofo stoico, studiata da Rubens in diversi disegni esposti.

Nella prima sala, di forte impatto, compare anche il «Prometeo incatenato», dipinto da Rubens con l’intervento di Frans Snyders che eseguì l’aquila. Nell’opera le influenze desunte da Tiziano e Michelangelo si integrano con il modello del Laocoonte, riprodotto in diversi disegni, ruotato in diagonale nella rappresentazione del Prometeo e utilizzato come archetipo della reazione eroica al dolore. Nell’opera di Rubens, infatti, le riprese dalla scultura antica sono sempre significanti e mai semplicemente formali. Così, nella «Susanna e i vecchioni» della Galleria Borghese, la posizione del «Cavaspina» applicata a un personaggio femminile veterotestamentario, si fa portatrice di un significato di disagio e sofferenza.

Tra gli aspetti che la mostra intende illustrare non secondario è il ruolo che l’arte di Rubens ha avuto nella nascita del Barocco, indagato attraverso il confronto, già rilevato dalla critica dei secoli scorsi, tra il pittore nordico e Gian Lorenzo Bernini e che trova il suo luogo ideale proprio nella Galleria Borghese. Le due mostre, accompagnate da importanti cataloghi, mettono efficacemente in luce tutta la modernità di un artista e un intellettuale che, guardando al passato e confrontandosi con il presente, inventò un nuovo linguaggio figurativo, superando barriere geografiche, politiche, religiose fino a biasimare la guerra e affermare «[...] Io concepisco tutto il mondo come la mia patria [...]».
 

Una veduta dell'allestimento della mostra alla Galleria Borghese con il «Cavaspina» del XVI secolo e, sullo sfondo a destra, «Susanna e i vecchioni» (1606-07) di Rubens. Foto A. Novelli © Galleria Borghese

Dalma Frascarelli, 07 dicembre 2023 | © Riproduzione riservata

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