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L’ingresso del Mudec, inaugurato il 27 marzo.

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L’ingresso del Mudec, inaugurato il 27 marzo.

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Michele Roda

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«Togliete la mia firma!». La diffida di David Chipperfield dall’associare il suo nome al nuovo Mudec, il Museo delle Culture di Milano, pone fragorosamente una questione centrale del rapporto tra architettura, progettista e committente. Peraltro risollecitata (pochi giorni dopo la presa di posizione pubblica di metà marzo dell’architetto britannico) dallo scenografo Dante Ferretti che di fronte ai ritardi che sembravano pregiudicare il completamento dell’allestimento progettato per il Decumano di Expo aveva fatto analoga richiesta sostenendo che «la realizzazione parziale sarebbe una grave lesione della integrità dell’opera dell’ingegno tutelata dalla legge sul diritto d’autore».
Rientrata a stretto giro la polemica su Expo (con rassicurazioni rispetto al completamento dell’idea iniziale), la querelle Chipperfield-Comune continua azzoppando, in parte, il risultato di aver aperto a fine marzo (almeno in via provvisoria) il Mudec, nel comparto delle ex officine meccaniche Ansaldo in via Tortona, dopo il concorso del lontano 2000 e 15 anni di lungo e tormentato iter progettuale e realizzativo.
Durante l’inaugurazione, avvenuta senza mai citare il nome del progettista, ad attirare l’attenzione di tutti non erano la forma curvilinea della nuova piazza coperta o l’atmosfera rarefatta degli spazi espostivi, ma il pavimento oggetto della controversia: circa 5mila metri quadrati di pietra lavica etnea (scelta dalla direzione lavori al posto della pietra basaltina di Viterbo prevista dal progetto esecutivo) posata in maniera tale da creare diffuse anomalie, accostamenti sbagliati, levigature non perfette. Non sono serviti mesi e mesi di tentativi di accordo per risolvere, almeno in parte, la non perfetta congruenza tra progetto e realizzazione. Quando il Comune di Milano decide di tirare dritto, aprendo così com’è il nuovo Museo delle Culture, ecco la dura presa di posizione di Chipperfield, il cui ruolo in fase di cantiere era di direttore artistico, che attraverso il suo avvocato Stefano Nespor diffida l’Amministrazione cittadina, nelle persone del sindaco Giuliano Pisapia e dell’assessore alla Cultura Filippo Del Corno «dall’attribuire, con qualsiasi mezzo di comunicazione e quindi a titolo esemplificativo mediante comunicati stampa, inserzioni pubblicitarie, e ogni altra forma di pubblicità o di comunicazione al pubblico, il Museo delle Culture all’arch. David Chipperfield».
In base alla legge sul diritto d’autore (la 633 del 1941) sono due le tipologie di diritti che un progettista più vantare: una di ordine economico-patrimoniale (legata alla possibilità di riprodurre l’opera stessa), la seconda di ordine morale (che comprende invece il diritto alla paternità, all’integrità dell’opera e al ritiro dal commercio). «L’esecuzione inaccettabile di parti del progetto lede un diritto personalissimo e irrinunciabile, quello che protegge la paternità dell’opera. Già adesso potremmo chiedere al Comune il risarcimento del danno, l’atto di diffida è un passo preliminare», spiega l’avvocato Nespor, rimandando però alle prossime settimane una decisione definitiva rispetto alla strategia da seguire. Perché dopo l’esplosione del «caso pavimento», Chipperfield ha scritto a Pisapia una nuova lettera, pubblicata anche sul sito web www.davidchipperfield.co.uk, sottolineando criticità e difficoltà della situazione ma offrendo all’Amministrazione la disponibilità a collaborare per una soluzione condivisa. La risposta del Comune è stata interlocutoria con l’impegno a nominare un tecnico che valuti ulteriormente la problematica per arrivare, nel prossimo anno, all’apertura definitiva del Mudec.
La controversia potrebbe anche chiudersi con un accordo e con un intervento capace di sanare i difetti riscontrati, che riguardano soltanto una finitura e non una parte strutturale, ma ugualmente di grande importanza secondo Chipperfield («Perché il pavimento è qualcosa di speciale e importante in uno spazio pubblico, è letteralmente la base»). Sarebbe un «lieto fine» che però non nasconderebbe una brutta figura per una città che si trova nella surreale situazione di avere finalmente un edificio pubblico di qualità e valore, senza poterlo celebrare attraverso la sua firma prestigiosa e internazionalmente riconosciuta. Ma ancora più amara è la considerazione che il Mudec non sembra essere un caso isolato. Tutto il settore delle opere pubbliche in Italia, per come è regolato e amministrato, è a rischio in questo senso. «Il punto politico di questa vicenda è la qualificazione dei direttori dei lavori, dice Leopoldo Freyrie, che oltre a essere presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, ha collaborato al progetto del Museo delle Culture. È un ruolo difficile e complicato. Un direttore dei lavori è un soggetto terzo che deve garantire la qualità dell’opera, così come è stata pensata e sviluppata dal progettista. Per questo ci battiamo perché venga creato un albo ad hoc». 

particolari della posa della pietra lavica, giudicata inadeguata dal progettista britannico David Chipperfield

particolari della posa della pietra lavica, giudicata inadeguata dal progettista britannico David Chipperfield

L’ingresso del Mudec, inaugurato il 27 marzo.

Michele Roda, 27 aprile 2015 | © Riproduzione riservata

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