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Takashi Murakami, uno dei 60 artisti rappresentati dalla Blum Gallery

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Takashi Murakami, uno dei 60 artisti rappresentati dalla Blum Gallery

Tim Blum chiude dopo 30 anni: «Il ritmo del sistema non è più sostenibile»

Chiuderanno dopo l’estate le sedi di Los Angeles e Tokyo, accantonato il progetto di nuovo spazio a New York. L’obiettivo è un modello di slower engagement, non vincolato a una crescita costante, ma più flessibile, fatto di progetti e collaborazioni a lungo termine

Rosalba Cignetti

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Tim Blum, attivo da oltre tre decenni nel mondo dell’arte, è uno dei galleristi più influenti della scena internazionale. Dopo l’ultima edizione di Art Basel, ha manifestato una riflessione che maturava da tempo, definendo il sistema, che da anni governa l’arte contemporanea, una spirale produttiva che ha finito, a suo dire, per offuscare l’essenza stessa del rapporto con l’arte: un ecosistema sempre più accelerato e difficilmente sostenibile fatto di fiere internazionali, inaugurazioni continue, logiche di espansione permanente, artisti da gestire e visibilità da garantire. «Più fiere, più sedi, più artisti: la crescita come stato predefinito. Non era sostenibile», ha dichiarato in un’intervista pubblicata da Daniel Cassady su ARTnews. 
È l’annuncio di una svolta radicale: la chiusura delle due sedi di Los Angeles e Tokyo, lo stop al progetto di una nuova apertura a New York e l’addio, di fatto, al modello tradizionale di galleria. Un passaggio netto, maturato nel tempo. Non si tratta, come precisa lui stesso, di una crisi finanziaria o di un riposizionamento post-pandemico. Né tantomeno di una reinvenzione personale. «Questa decisione non nasce dal mercato, ma dal sistema» ha spiegato ancora ad ARTnews.
La decisione arriva in un momento delicato per il settore, segnato da un generale rallentamento del mercato, ma Blum rifiuta l’idea che la sua scelta sia frutto della congiuntura economica. Al contrario, l’esigenza di una rottura sarebbe maturata già da anni, e avrebbe iniziato a farsi urgente dopo la crisi del 2008, quando – secondo lui – il mondo dell’arte ha imboccato una direzione sempre più frenetica e auto-referenziale. Anche durante le annate più floride, come il 2021, il modello di business appariva logorato.

 

Tim Blum (a sinistra) e Jeff Poe a destra, ai tempi della Blum & Poe gallery

Un momento emblematico per lui è stato Art Basel, dove ha constatato l’assenza di veri scambi e momenti di confronto, nonostante avesse venduto l’85% delle opere esposte ancora prima della fiera.Blum non è nuovo ai cambiamenti. Nel 2023 aveva già chiuso un capitolo fondamentale della sua carriera: la storica collaborazione con Jeff Poe, con cui aveva fondato la galleria Blum & Poe nel 1994, a Los Angeles, quando la scena della città era ancora periferica rispetto a New York. Insieme, avevano contribuito a farne un epicentro dell’arte contemporanea globale, rappresentando artisti come Yoshitomo Nara, Takashi Murakami, Henry Taylor, Solange Pessoa e molti altri, aprendo sedi anche a Tokyo e New York. Dopo il ritiro di Poe, Blum aveva proseguito da solo, ribattezzando la galleria con il suo nome e continuando a rappresentare oltre sessanta artisti. Ma oggi, anche quel modello è arrivato al capolinea. Le sedi fisiche di Tokyo e Los Angeles chiuderanno al termine delle mostre estive, mentre la futura sede di Tribeca – già annunciata – è stata messa da parte: se mai vedrà la luce, non sarà una galleria nel senso classico del termine. Blum non intende ritirarsi dal mondo dell’arte. Continuerà a vendere e acquistare, ma senza una struttura rigida. Non fonderà una società di consulenza, né si trasformerà in art advisor: «Non voglio che finanza e logistica occupino il primo piano della mia testa ogni giorno», ha spiegato ancora ad ARTnews. La sua attenzione si sta ora spostando su un progetto di lungo corso, sviluppato insieme alla moglie, incentrato su quello che lui definisce slower engagement – un coinvolgimento più lento, intenzionale, radicato nella riflessione e nella consapevolezza. Alla fine, ciò che Blum cerca non è l’uscita dal mondo dell’arte, ma un modo diverso di starci dentro. Con un ritmo più umano, meno dettato da imperativi produttivi e più vicino alla dimensione autentica del gesto artistico.

Rosalba Cignetti, 08 luglio 2025 | © Riproduzione riservata

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