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«Gabrielle d’Estrées e sua sorella» (1594 ca), Scuola di Fontainebleau, Parigi, Musée du Louvre

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«Gabrielle d’Estrées e sua sorella» (1594 ca), Scuola di Fontainebleau, Parigi, Musée du Louvre

Storie scandalose nell’arte dal Quattrocento alla modernità

Il libro di Claudio Pescio guarda con altri occhi opere date per scontate, invita a ripensare come si divulga la storia dell’arte e trasforma il lettore in voyeur

Stefano Causa

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Con il libro di Claudio Pescio si arricchisce il carniere di titoli di storia dell’arte da leggere e non solo da compulsare a beneficio del battiscopa delle note. Subito due considerazioni si offrono. La prima, desolante, è che tre quarti del volume siano oggi irricevibili dai social media nei quali siamo impantanati e che «bannano» persino il seno cieco della «Colazione sull’erba» di Manet. La seconda, incoraggiante, è che dalla miniera di immagini qui proposta (applausi all’eccellente e arduo lavoro di editing di Enrica Crispino e Clara Staro) vengono fuori combinazioni di tale ingegnosa sfrontatezza da spuntare le unghie al corrente e corrivo narcisismo da telefonini.

Questo libro documenta in realtà i passaggi di un upgrade: tutti quelli in cui chi guarda sia stato promosso da spettatore a complice. Nessuno meglio di Pescio, che ha letto tutti i libri del mondo e qualcuno in più, possiede i requisiti per sciogliere pianamente le iconografie, a doppia o a tripla chiave, di dipinti non solo stranoti.

La Gabrielle d’Estrées che al Louvre stringe tra le dita il capezzolo destro della sorella duchessa di Villars nel più famoso dei quadri di Fontainebleau allude alla di lei terza gravidanza. Tetta per tetta, il monaco che abbranca quella della suora nel Cornelisz van Haarlem di Monaco non è (solo) uno scatto di focosità, ma l’acme di una dimostrazione medica o paramedica. Da quel seno sta zampillando vino e non latte (a riprova che la donna non è incinta). Ma ammesso che la malizia è sempre e comunque nei nostri occhi, qui è il pittore per primo a strizzarceli per bene.

Trenta o quarant’anni fa un libro del genere, dove il primo a passare di grado a voyeur è il lettore stesso, si sarebbe potuto solo immaginare. L’unico che avrebbe potuto scriverlo, non meglio ma diversamente, è un amico di «Il Giornale dell’Arte».

Sospetto che Pescio avesse in animo di ripensare a quelle conversazioni con cui Federico Zeri, negli anni ’80, si sforzò, non invano a quanto pare, a ripensare al tema della divulgazione della storia dell’arte. C’è qui, aggiornato, il tariffario delle cortigiane. In uno, pubblicato a Venezia negli anni maturi di Tiziano, si passa da uno scudo ai 50 pretesi da Veronica Franco («quasi sei mesi di stipendio di un chirurgo», chiosa tra parentesi l’autore).

Al che pare superfluo ricordare a noi, coetanei di Pescio, il siparietto postcoitale che coinvolge, nella canzone del 1967 di Villaggio e De André, re Carlo e la pulzella che, in bolognese stretto, gli ha appena chiesto il compenso: «È mai possibile o porco di un cane che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi puttane. Anche sul prezzo v’è poi da ridire ben mi ricordo che pria di partire v’eran tariffe inferiori alle tremila lire».



Paradisi proibiti. Storie di sesso, alcol e droga nelle opere d’arte, di Claudio Pescio, 272 pp., ill. col., Giunti, Firenze 2023, € 29

«Gabrielle d’Estrées e sua sorella» (1594 ca), Scuola di Fontainebleau, Parigi, Musée du Louvre

La copertina del volume

Stefano Causa, 11 novembre 2023 | © Riproduzione riservata

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