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Javier Pes
Leggi i suoi articoliA Londra Ai Weiwei e Anish Kapoor hanno guidato una manifestazione fino a Downing Street. Vogliono replicarla in cento città
I principali artisti alzano la voce sulla caotica reazione dell’Europa all’emergenza rifugiati e sulla retorica anti-migranti dei politici che stanno chiudendo i confini di Stato. Mentre migliaia di persone rischiano la vita per fuggire dalla guerra civile in Siria e da altri conflitti e cercare riparo in Nord Europa, in milioni devono prepararsi a passare un altro inverno nei campi nei Paesi vicini alla Siria e nell’Iraq settentrionale.
«Trovo il comportamento dell’Europa assolutamente deplorevole e ignobile, afferma Alfredo Jaar, l’artista cileno residente a New York che è stato in Kosovo la scorsa estate. L’esodo è iniziato già quattro anni fa». William Kentridge, sudafricano, afferma: «È come se l’Europa avesse aperto solo ora gli occhi su quello che sta accadendo in Africa da decenni. È scioccante».
L’artista danese Olafur Eliasson, residente a Berlino, si dichiara allibito dal modo «caotico, disumano e inefficiente» con cui i politici europei stanno reagendo alla crisi. «Il mondo dell’arte fa parte del mondo reale; il fatto di essere un mondo “piccolo” è una conseguenza del mercato dell’arte», aggiunge. Con una mostra in apertura a novembre a Vienna, l’artista riflette su quello che il suo studio potrebbe fare nella città austriaca per i rifugiati, consapevole che ogni azione potrebbe essere tacciata di opportunismo. Una cosa di cui la gente ha bisogno è un lavoro; forse si possono inventare dei «lavori dell’arte»? Eliasson crede che si potrebbere mobilitare le reti di rapporti all’interno del mondo dell’arte, che mettono gli artisti a contatto con persone influenti.
Due artisti si sono attivamente schierati contro la mancanza di compassione e di immaginazione dei leader politici. Ai Weiwei, cinese, e Anish Kapoor, inglese di origini indiane, si sono incontrati per la prima volta a settembre a Londra e hanno immediatamente deciso di percorrere a piedi la città in segno di solidarietà con i rifugiati che cercano con enormi difficoltà di attraversare l’Europa. Sono stati accompagnati da circa 300 sostenitori e hanno intenzione di ripetere questa marcia simbolica in altre 100 città.
Problema di compassione
Kapoor, che lo scorso anno è stato in un campo profughi in Giordania su invito dell’Unicef, ha detto che con più di 50 milioni di rifugiati in tutto il mondo, «abbiamo un problema di compassione. Gli artisti hanno una voce e devono parlare di questa gravissima questione. Ci aspettiamo “umanità” dai nostri cosiddetti leader». Kapoor, che sta collaborando con giovani architetti per progettare case per i rifugiati, non si illude su quello che può essere il contributo degli artisti dal punti di vista pratico. «I progetti raramente cambiano la situazione ma testimoniano l’idea di essere interessati e partecipi», ha spiegato.
Ai Weiwei nel frattempo lavora con la Ruya Foundation di Baghdad a un progetto partito dalla sua selezione di disegni realizzati da rifugiati in tre campi nell’Iraq del Nord per il Padiglione iracheno alla Biennale di Venezia (fino al 22 novembre). Due membri dello studio dell’artista hanno visitato i campi iracheni in estate. Tamara Chalabi, presidente e cofondatore della Roya Foundation, è convinta che l’arte possa aiutare le persone che soffrono di depressione e shock traumatico a «creare una cultura mentre la loro viene distrutta». La fondazione spera di istituire un workshop permanente in uno dei campi più grandi, che ospita 25mila persone, tra cui molti appartenenti alla minoranza degli Yazidi, perseguitati dall’Isis. Il sostegno di un personaggio pubblico come Weiwei aiuta a far sì che «le persone ascoltino e prestino maggiore attenzione», sottolinea.
Costernati dalla retorica e dall’atteggiamento di rifiuto dei rifugiati da parte del Governo inglese, gli artisti londinesi Adam Broomberg (nato in Sud Africa) e Oliver Chanarin hanno espresso la loro frustrazione a inizio settembre in una mail. Hanno ricevuto una risposta immediata da circa 300 tra artisti e curatori, da cui è poi derivata la pubblicazione di una «richiesta di intervento» indirizzata al Governo britannico. Broomberg dichiara che gli artisti possono parlare in un modo in cui le associazioni non profit e non governative «legate ai Governi» per parte dei loro finanziamenti non possono fare. In pochi giorni gli artisti e i loro sostenitori hanno raccolto il denaro per pubblicare un annuncio a tutta pagina sul «Guardian», proprio il giorno prima dello svolgimento a Londra di una manifestazione di solidarietà per i rifugiati. Tra i sottoscrittori, più di venti artisti, oltre ad architetti, scrittori e attori.
Gesto di carità
La fotografa iraniana Newsha Tavakolian, che a settembre ha vinto il Prince Claus Award, ha donato parte della cifra ad associazioni di beneficenza che aiutano i rifugiati siriani e iracheni. «La gente in Siria e in Iraq, pur vivendo in condizioni pessime, mi ha sempre accolta a braccia aperte, facendomi entrare nelle loro vite», ha dichiarato la fotoreporter. «Come fotografo, vai in un luogo per prendere. Penso sia quanto meno giusto restituire».