«Grandpa helping Grandma out» (1999) di Gillian Laub © Gillian Laub

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«Grandpa helping Grandma out» (1999) di Gillian Laub © Gillian Laub

Soap reali e famiglie grottesche all’Icp di New York

Storie di donne e di famiglie, questo il filo che unisce le due monografiche di Diana Markosian e Gillian Laub

Storie di donne e di famiglie, questo il filo che unisce le due monografiche presentate fino al 10 gennaio all’International Center of Photography (Icp) di New York. In «Santa Barbara» di Diana Markosian (Mosca, 1989), fotografa americana di origine russo-armena, si ritrova l’infanzia dell’autrice, riletta attraverso un filtro che tiene insieme memoria, fiction e documento.

L’allontanamento dalla Russia post sovietica al seguito della madre e la nuova vita sotto il sole di Santa Barbara, in California, sono saldati in un racconto (anche publicato da Aperture lo scorso anno) che mescola ricordo personale e immaginario collettivo di una comunità socialista che si apre all’occidente. Una duplicità dichiarata fin dal titolo, perché «Santa Barbara» è anche una delle prime soap opera americane trasmesse dalla televisione russa, entrata nelle case e nei sogni di tanti futuri migranti.

L’altra rassegna presenta «Questioni di famiglia», anche questo raccolto in un recente volume di Aperture, dove l’americana Gillian Laub (Chappaqua, New York, 1975) indaga le dinamiche interne alla propria famiglia nel corso degli ultimi vent’anni. Qui le polarità risultano invertite rispetto al lavoro della Markosian, l’approccio si dimostra più diretto e a tratti irriverente, e il soggetto diviene ora quello della famiglia borghese vista da una prospettiva in bilico tra critica, empatia, umorismo e orrore per il grottesco. Le immagini sono accompagnate da testi della stessa Laub, una sorta di colonna sonora immersiva che diffonde le voci dell’artista e dei suoi familiari.

«Grandpa helping Grandma out» (1999) di Gillian Laub © Gillian Laub

Nicolò Pollarini, 27 novembre 2021 | © Riproduzione riservata

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Soap reali e famiglie grottesche all’Icp di New York | Nicolò Pollarini

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